Il problema dei prezzi bassi, della Gdo che con le sue politiche costringe il mondo produttivo ad una guerra tra poveri non esiste solo in Italia. Nei giorni scorsi sono scesi in piazza gli agricoltori spagnoli (in Andalusia). In Germania la Merkel è stata costretta a riunire attorno ad un tavolo i magnifici quattro della Gdo tedesca (Lidl, Aldi, Edeka e Rewe) a parlare di dumping sui prezzi, di promozioni/sottocosto che affamano i produttori, ecc. Succederà qualcosa? Ne dubitiamo. Ovunque i colossi del retail hanno un potere contrattuale, anche ‘politico’, di gran lunga superiore a quello del mondo agricolo, per cui parlare di ‘prezzi minimi’ suona come un sacrilegio. Magari – ipotesi più verosimile – il mondo produttivo tedesco e spagnolo otterrà qualche sostegno finanziario straordinario dal Governo, per mettere a tacere la rabbia verde. In Italia neppure quello arriverà, alla faccia delle chiacchiere a vuoto di tanti politici sul prezzo minimo dei prodotti, sul salario minimo orario, sulla necessità di garantire redditi minimi per le varie colture … parole in libertà. Se il mondo produttivo è debole all’estero, lo è ancor di più in Italia, perché frammentato, diviso fra bianchi, rossi, verdi e gialli, sempre in competizione fra di loro.
Poi, la nostra Gdo. Fantastici questi super manager del retail, bravissimi finché sono in sella a raccontare davanti a giornalisti adoranti le loro imprese, i loro successi. Poi, quando mollano, i più bravi e intelligenti – forse colti da crisi di coscienza - fanno outing, vuotano il sacco, raccontano le cose come stanno, senza infingimenti. Così ha fatto Mario Gasbarrino, ex manager di U2/Unes Supermercati, adesso approdato ai vertici di Everton, società specializzata in tè e tisane, che non ho il piacere di conoscere personalmente ma di cui leggo con attenzione le esternazioni. Nel novembre scorso (ne riferisce Mirko Aldinucci su “Italiafruit”) Gasbarrino su Linkedin scrive che “i buyer della Gdo devono uscire dalle loro torri eburnee, non devono valutare solo il prezzo” anche perché “un giorno, un lavoro così banale, che qualcuno sta già sostituendo con le aste al ribasso, potrebbe essere gestito da una macchina o un algoritmo”. Il tempo del buyer chiuso in ufficio è passato: “oggi - incalza Gasbarrino - deve andare in giro nei supermercati, per capire cosa vuole il cliente, e nelle aziende per capire come lavorano e come la pensano… i primi a cambiare devono essere i capi, i Ceo del retail”.
Poi l’ortofrutta: “In un mondo che sta cambiando e vede sparire le intermediazioni, con l’etica che assume un ruolo sempre più rilevante, il ruolo di buyer sta perdendo senso. Bisogna mettere in contatto chi produce con chi vende e, soprattutto, i distributori devono decidere che immagine avere e rifletterla: non si può fare affari con tutti, una scelta di posizionamento è indispensabile per sopravvivere. Altrimenti conteremo solo i morti”. Poi sul sottocosto nei freschi: “Se non è funzionale a una strategia, a un obiettivo, non costruisce niente. Oltre al prezzo, c’è di più”.
Più recentemente (12 febbraio, sempre a Mirko Aldinucci, Gasbarrino confida: “Cari retailer attenzione a non esagerare, altrimenti farete (faremo) la fine delle banche”. Il riferimento è all’esplosione della concorrenza fra catene e al proliferare incontrollato dei punti vendita. Gasbarrino cita il caso di Milano dove in zona Corbetta sono sorti cinque discount in un raggio di 500 metri in due anni.
E’ sotto gli occhi di tutti: la competizione a colpi di prezzi bassi, promozioni e altro distrugge il mercato e, nel caso dell’ortofrutta, massacra i produttori medio-piccoli. Le catene vedono erodersi la loro marginalità e scaricano le perdite sui prezzi pagati ai produttori. Chi parla di filiera lunga, piena di intermediari, non sa quello che dice: ormai la filiera è corta, cortissima. Solo che non è efficiente, non remunera il lavoro dei produttori. E’ solo guerra dei prezzi al ribasso, riflesso della competizione sfrenata fra i retailer, alimentata dai Comuni che pur di incassare danno via libera alla proliferazione selvaggia dei punti vendita in barba a qualunque programmazione.
Nelle grandi città del Nord il fenomeno è dilagante, a Milano come a Bologna o a Verona. I piccoli dettaglianti, spesso etnici, si adeguano a questa corsa al ribasso e fanno promozione a modo loro: “Tutto (o quasi) a 0,79 e 0,99 al chilo”, dove è il ‘quasi’ che fa la differenza. E aggiunge: “Anche a 0,50”. Ovvio che non bisogna guardare tanto per il sottile sulla qualità della merce in vendita, però quel che resta dell’immagine della nostra ortofrutta va a farsi benedire agli occhi del consumatore comune.
Ormai il mercato è un gioco al massacro, guerra di tutti contro tutti, dove l’unica leva è il prezzo. Gasbarrino, parlando fuori dai denti, ha certamente il merito di dire le cose come stanno, senza infingimenti o ipocrisie. Però questi grandi manager del retail che parlano solo quando sono fuori dalla mischia, che si accorgono di quanto sia inquinata l’aria della stanza dei bottoni solo quando la lasciano, un po’ di dubbi francamente ce li lasciano…
*Direttore del “Corriere ortofrutticolo”