L’agricoltura europea ha ancora paura degli Ogm? Il tema è tornato di attualità con l’estensione dei divieti previsti dalla normativa europea alle nuove tecniche d’ingegneria genetica, che dall’esordio degli Ogm nel panorama agricolo mondiale oltre 20 anni fa si sono profondamente evolute.
L’estensione del bando alle sperimentazioni è stata stabilita da una sentenza della Corte di Giustizia Ue per colmare un vuoto normativo sull’ambito di applicazione delle nuove tecniche conosciute con il nome di “mutagenesi”. Una sentenza che ha fatto discutere il mondo scientifico e creato nuove divisioni in quello agricolo, perché rischia di bloccare l’innovazione e la ricerca del settore. Fino a costringere il Consiglio Ue, lo scorso novembre, a riconoscere la necessità di rivedere la direttiva europea sugli Ogm del 2001.
Un’ipotesi accolta favorevolmente da Confagricoltura. «Da sempre siamo a favore della scienza e della ricerca - sottolinea il presidente dell’organizzazione Massimiliano Giansanti – a maggior ragione oggi di fronte agli effetti del cambiamento climatico, in uno scenario che ci impone di produrre di più con meno, ma anche di tutelare i nostri agricoltori in una competizione globale sempre più agguerrita. In Italia ci sono già tutte le condizioni per applicare le nuove tecniche di ibridazione, che rispondono all’esigenza di aumentare la produzione salvaguardando allo stesso tempo la sostenibilità ambientale ed economica». Senza nascondere, sottolinea Giansanti, il fatto che «l’Italia è dipendente dai mercati esteri e praticamente tutta la soia che importiamo è già Ogm. Dobbiamo consentire la sperimentazione delle nuove tecniche e rilanciare il piano proteico europeo. È un passaggio normativo che va fatto e mi auguro che su questo ci sia l’appoggio di tutti i nostri europarlamentari. Ci chiedono di ridurre le molecole usate in campo, ma se fermiamo la ricerca le emergenze come la Xylella e la cimice asiatica distruggeranno la nostra agricoltura. In Italia abbiamo centri all’avanguardia, ma la ricerca non può restare chiusa in laboratorio».
Di fronte agli ultimi progressi della ricerca agricola, si tratta di stabilire con chiarezza la linea di confine tra un organismo geneticamente modificato e il frutto di un’innovazione varietale scientifica non Ogm. Non sapendo (e non potendo) rispondere, la Corte di giustizia europea ha stabilito per ora che le restrizioni Ue sugli Ogm si applicano a tutte le nuove tecniche conosciute con il nome di “mutagenesi”.
La sentenza impone anche per l’import dei prodotti frutto delle nuove tecniche di incrocio e selezione genetica per le piante di nuova generazione, sviluppate dopo il 2012, lo stesso iter autorizzativo previsto per gli Ogm “tradizionali”. Un ambito dal quale l’Europa ha già preso le distanze vietandone produzione e commercializzazione, consentendo l’import solo dopo una specifica autorizzazione.
In Europa non si fanno Ogm, con limitate eccezioni decise dagli Stati membri: è il caso a esempio di Spagna e Portogallo, unici paesi che hanno autorizzato coltivazioni limitate in campo. Per il resto la ricerca è consentita solo in laboratorio.
Rivedere la direttiva sugli Ogm del 2001, di fronte ai progressi degli ultimi anni, rappresenta la sola strada di fatto per consentire alle nuove tecniche, basate sulla modifica del Dna delle piante attraverso l’introduzione di un gene della stessa specie (non esogeno come avviene invece per gli Ogm), di essere sperimentate in campo aperto. Il Consiglio Ue ha riconosciuto il problema stabilendo formalmente che sulle nuove tecniche di mutagenesi c’è una «condizione di incertezza» che occorre superare con «nuove disposizioni», riferendosi alla sentenza pubblicata dalla Corte europea nel luglio del 2018. Secondo il Consiglio Ue bisogna assicurare «la parità di trattamento tra i prodotti importati e quelli originari della Ue».
Il documento, frutto di un faticoso compromesso, invita la Commissione a presentare, entro il 30 aprile 2021, uno studio sullo status delle nuove tecniche di mutagenesi nel diritto dell’Unione alla luce della sentenza della Corte. Solo dopo la Commissione potrà «presentare una proposta» o «informare il Consiglio delle altre misure necessarie».
da: Il Sole24Ore, 12/1/2020