Riscaldamento del suolo e degli oceani, variazioni dei regimi di precipitazione, condizioni di approvvigionamento di acqua dolce, migrazione delle specie, in particolare marine: entro il 2100, in tutto il mondo, si prevede che circa 7,2 miliardi di persone subiranno perdite di produttività delle colture contemporaneamente a una riduzione delle catture di pesca.
È quindi la sicurezza alimentare di quasi il 90% della popolazione mondiale che rischia di essere danneggiata dai cambiamenti climatici alla fine del secolo.
Esistono numerosi studi sulle specie animali e vegetali minacciate, nonché sugli ecosistemi sconvolti dal riscaldamento in corso. Il più recente, pubblicato da Science Advances mercoledì 27 novembre, ha il compito di valutare simultaneamente l'entità dei cambiamenti in atto nei settori dell'agricoltura e della pesca, stimando chi saranno i vincitori e soprattutto i vinti della nuova situazione.
Gli autori hanno basato le loro ricerche sulle evoluzioni della produttività del mais, del riso, della soia e del grano – le quattro colture più diffuse al mondo – in 240 stati o territori, nonché sulle statistiche delle catture mondiali dell'Istituto per gli oceani e la pesca dell'Università della British Columbia (Canada). In quest'ultimo settore, l'inevitabile calo delle quantità di pescato sbarcato dovrebbe riguardare persino il 97% della popolazione mondiale. I ricercatori notano, tuttavia, che il 3% della popolazione futura potrebbe beneficiare allo stesso tempo di raccolti e di pescato più abbondanti entro la fine del secolo, principalmente in Canada e Russia.
"Sapevamo che il riscaldamento avrebbe avuto effetti dannosi su questi due settori, ma sono pochi i lavori che analizzano insieme queste due tendenze", afferma Joachim Claudet. Direttore di ricerca al Centre de recherches insulaires et observatoire de l’environnement (CNRS), è uno dei coautori di questa analisi prodotta da un team internazionale composto da francesi, americani, australiani e canadesi, esperti di agricoltura e risorse marine di diverse università e dell'Istituto francese di ricerca per lo sfruttamento del mare. (…)
L'America latina, l'Africa meridionale e centrale, il Sud-est asiatico, e in generale gli abitanti della zona intertropicale, dovrebbero essere particolarmente colpiti. I paesi meno sviluppati sono anche i più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Tuttavia, sembrano essere i più vulnerabili per più di una ragione: sono quelli che dipendono maggiormente dalla pesca marittima e dal lavoro agricolo per nutrire le popolazioni, per fornire lavoro su larga scala e per i quali queste due attività rappresentano parti importanti delle loro entrate nazionali. Infine, perché non dispongono dei mezzi necessari per finanziare il proprio adeguamento a nuovi metodi di produzione.
Una seria minaccia per l'alimentazione mondiale. Soprattutto perché il rapporto speciale del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), pubblicato ad agosto, avverte della perdita accelerata di terra coltivabile e dell'esaurimento del suolo in generale. Già il 70% dei 130 milioni di chilometri quadrati di terre emerse libere da ghiaccio è ora dedicato all'agricoltura, al bestiame o alla silvicoltura ed è in gran parte degradato.
da: “Le Monde”, in Agrapress Rassegna Stampa Estera, 5/12/2019