Il suo primo giorno di lavoro, la neopresidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen si è recata a Madrid per l’apertura della conferenza Onu sul clima. Un gesto in linea con il «filo verde» che percorre il programma del nuovo esecutivo Ue. La priorità dei prossimi cinque anni sarà infatti il Green Deal, un grande piano europeo per favorire la transizione energetica. La stampa internazionale non ha mancato di cogliere la svolta: non era mai successo che il cambiamento climatico diventasse il primo punto di un’agenda di governo, legittimata da un Parlamento.
La transizione energetica è oggi la madre di tutte le sfide. Se non diminuiamo le emissioni nocive, ci aspetta una spirale di catastrofi naturali. L’Europa sta già facendo la sua parte: produce il 20% del reddito globale, ma è riuscita a portare il livello dei propri gas serra al 10% del totale. La nuova Commissione vorrebbe trasformare la Ue nella prima area economica «neutrale rispetto al clima» entro il 2050: sarebbe un successo planetario.
L’approccio della Commissione è ambizioso e al tempo stesso pragmatico. Non guarda alla difesa del clima in modo «assoluto», a discapito di ogni altro valore. Piuttosto mira a trasformare la transizione energetica in un moltiplicatore di crescita e occupazione. Grazie a nuove risorse e incentivi, gli investimenti verrebbero orientati verso impieghi connessi alla sostenibilità. Creando nuove filiere (mobilità sostenibile, energie pulite, rinnovamento edilizio) e posti di lavoro.
Certo, la transizione avrà dei costi sociali. Come sostenerli? Questione delicatissima. La neopresidente Von der Leyen pensa di accompagnare il Green Deal con un Patto sociale per una transizione equa. La Ue canalizzerebbe una quota significativa del proprio bilancio verso la protezione dei lavoratori e dei territori interessati, la formazione dei giovani ai nuovi lavori basati su energie pulite e la lotta alla cosiddetta povertà energetica delle famiglie, in termini sia di accesso alle reti sia di bollette.
C’è un altro motivo che rende la svolta verde della Commissione particolarmente apprezzabile: il senso di responsabilità che l’ha ispirata. Nei confronti sia delle esigenze dell’«intero» (la Ue nel suo complesso, in ultima analisi tutto il pianeta), sia dei cittadini e delle loro aspettative. Secondo i sondaggi Eurobarometro, il cambiamento climatico è ormai ai primi posti fra le preoccupazioni degli elettori. Nel 2018 novemila sindaci, in rappresentanza di 230 milioni di cittadini europei, hanno firmato un Patto e si sono impegnati a decarbonizzare completamente le proprie città entro il 2050.
Inoltre, il programma verde della nuova Commissione è stato votato dalla maggioranza dei membri del Parlamento, eletti direttamente dai cittadini europei.
Non saranno rose e fiori. I Paesi membri hanno sensibilità e interessi diversi. Il tema del cambiamento climatico s’incrocerà con quello fiscale. Per la Ue, il rischio più grave è che le linee di conflitto che di volta in volta emergono si sovrappongano ai confini territoriali, come è avvenuto nell’ultimo decennio: Nord contro Sud, Est verso Ovest. Se così dovesse accadere, oltre alla catastrofe climatica ci sarebbe anche quella politica: la Ue diventerebbe insostenibile proprio in quanto Unione. I rischi ambientali sono per fortuna meno divisivi di quelli economico-finanziari. Se ben gestito, il Green Deal potrebbe persino sanare le ferite ancora aperte sul terreno delle finanze pubbliche e dei flussi migratori. Ursula von Der Leyen è una leader politica consumata e coraggiosa. Auguriamoci che sappia fare di necessità virtù, usando l’emergenza ambientale anche come opportunità di riconciliazione politica.
da: Corriere della Sera, 11/11/2019