Il Risorgimento riuscì a unificare la nostra Nazione, quando era costituita da un insieme di realtà diversificate. La stessa lingua italiana non era ancora alla portata di tutti, tanto che anche i tribunali avevano bisogno di interpreti. Dobbiamo riconoscere che 150 anni non sono stati sufficienti a completare la formazione unitaria degli italiani, pur se questo processo ha avuto accelerazioni dalle massicce migrazioni interne, soprattutto dal sud verso il nord e dalle campagne verso i centri di sviluppo commerciale ed industriale. Un forte contributo è stato dato dall’omologazione delle istituzioni scolastiche e formative, così come dall’obbligatorio servizio militare di leva, fatto svolgere in regioni diverse da quelle di origine. Ormai la popolazione si è significativamente mescolata ed ha creato un altissimo numero di generazioni miste. Ma tradizionali consuetudini continuano giustamente ad avere importanza, talvolta anche attraverso il loro riconoscimento in sedi giuridiche.
Il Trattato di Roma del 1950 e l’avvio dell’unione del vecchio continente hanno aperto un ulteriore e più vasto processo di unificazione, ancor meno facile. Anche l’Europa dovrà infatti considerare le problematiche di una formazione unitaria della propria complessa popolazione, nel rispetto dei caratteri e delle culture diverse. Oltre che della moneta unica, avrà bisogno di adottare un unico linguaggio ufficiale. Anche senza avere ancora previsto una sorta di futuro Stato Federale Europeo, l’attuale Commissione è impegnata sempre più nella ricerca di comuni regole condivise, per un’unica società civile. Alcuni risultati sono già stati ottenuti con l’abolizione delle frontiere, la libera circolazione del lavoro, gli scambi degli studenti, l’aumento dei matrimoni misti e delle doppie nazionalità. Tutti dovremo condividere le conseguenze che un tale processo inevitabilmente comporterà. Ma non potranno bastare i nostri 150 anni. Occorreranno molte generazioni, diversi secoli ed una tenace capacità di resistere agli inevitabili denigratori e scissionisti.
Oggi, comunque, non possiamo pensare al futuro della nostra Nazione senza considerare tutto questo, senza tener conto che l’Italia e gli italiani non sono più quelli di 150 anni fa. Non si deve commettere l’errore di sottovalutare, ad esempio, che una buona parte della popolazione nelle nostre Regioni settentrionali è ormai costituita da più generazioni di origine meridionale ed ora anche da molti immigrati europei ed extracomunitari. Non possiamo far finta di ignorare che ormai viviamo in una nuova realtà, del tutto diversa, con tecnologie che hanno condizionato fortemente cultura e tradizioni, così come il nostro stesso modo di essere e di pensare. Le differenze sociali ed economiche fra le Regioni italiane non possono essere considerate statiche. Ognuna dispone di risorse preziose che, nel predisporre progetti strategici di sviluppo, non devono essere ignorate e sprecate a causa di pregiudizi o di miopi interessi localistici e contingenti.
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