La strada che porta a un futuro sostenibile non passa solo attraverso una profonda trasformazione dell'agricoltura, ma anche dalla rivoluzione della chimica. E dunque addio alle vecchie sostanze plastiche derivate dal petrolio e largo alle materie prime di origine vegetale, possibilmente non utilizzate per scopi alimentari, come le bucce dei San Marzano usate dai ricercatori dell'Ictp-CNR di Pozzuoli per ottenere un film biodegradabile, biocompatibile e non tossico da utilizzare per le pacciamature, cioè il processo di protezione e aiuto alla crescita delle piante, attuato nella fase più delicata dello sviluppo, con alcuni strati di plastica stesi al suolo (foto).
Può sembrare un dettaglio da addetti ai lavori, ma al mondo vengono usate ogni anno circa 700 mila tonnellate di plastiche pacciamanti. Il loro destino è quello di un difficile riciclo, in quanto contaminate da terra sostanze organiche, o di finire nel terreno, compromettendo la fertilità del suolo. Il brevetto messo a punto dai ricercatori del CNR non ha però solo il vantaggio di essere composto da sostanze organiche. Può essere utilizzato anche sotto forma di spray e non ha bisogno di essere rimosso, funzionando anzi da ammendante del suolo.
A Porto Torres, dove la crisi ha ucciso uno dei poli chimici più importanti del Paese, stanno nascendo interi campi di cardi. Sono le piante che serviranno ad alimentare un nuovo impianto per la produzione di bioplastiche. Questa pianta rustica, che cresce anche su terreni marginali o da bonificare, ha pretese modeste. Si accontenta dell'acqua piovana e non ha bisogno di fertilizzanti o fitofarmaci. Non inquina, dunque, e non sottrae né risorse idriche né zone fertili all'agricoltura. Questo è un punto chiave, dato che al momento il mais è probabilmente la materia prima vegetale più collaudata della chimica verde. Un altro brevetto di bioplastica italiana dalle molteplici applicazioni (dagli spazzolini da denti alle suole delle scarpe), è basato sul granturco. Allo stesso modo un'altra pianta dal grande valore nutritivo, la canna da zucchero, è al centro degli sforzi per rendere bio il Pet, il polietilene tereftalato con cui vengono fabbricate le bottiglie.
Dopo il primo incoraggiante successo delle bioplastiche da pacciamatura con i pomodori, la sfida del futuro è quella di attingere a ciò che resta della lavorazione di viti, alghe, agrumi, castagne e prodotti della pesca. Tutti materiali che al momento rappresentano un costo di smaltimento e che invece possono diventare ingredienti base di varie sostanze chimiche usate anche nella cosmetica e nella farmacologia.
Da la Repubblica, 23/06/2013