L’abbattimento di milioni di suini per l’epidemia in Cina ha provocato un terremoto che fa traballare la filiera italiana. La Cina da sola vale la metà della produzione suinicola mondiale e, dall’inizio dell’anno, questa produzione è stata sconvolta dalla peste suina africana (innocua per l’uomo, letale per il bestiame). A forza di abbattimenti preventivi, almeno 100 milioni di capi se ne sono andati. Per continuare ad alimentare il vastissimo mercato interno, Pechino ha fatto man bassa di materia prima in giro per il mondo. Ma la stazza del mercato asiatico è tale da sconvolgere gli equilibri: 100 milioni di capi sono quasi il doppio della produzione di Spagna e Germania messe insieme. Tutto ciò fa salire il prezzo dei maiali, prima nel mercato asiatico e poi nel resto del mondo.
In Italia i prezzi dei suini sono fissati alla Commissione Unica Nazionale sulla base delle indicazioni raccolte settimanalmente sulla filiera, ma siamo comunque passati dagli 1,27 €/kg di inizio anno a 1,77 di fine ottobre. Un balzo di quasi il 40%, in un paese come l’Italia che ha una grande industria della trasformazione e una produzione di animali di nicchia che copre solo il 60% della domanda dei nostri salumifici. Gli allevatori beneficiano della risalita dei prezzi ma per i salumifici è scattato l’allarme perché sono rincarati sia i maiali nostrani che quelli importati dai circuiti europei che oltretutto scarseggiano in quanto sono stati dirottati in Cina. Siamo di fronte ad una crisi industriale, più che agricola, ed è difficile trovare strumenti per superarla. Al Ministero delle Politiche Agricole il tema è alto in agenda e ci sono numerose misure allo studio, ancora siamo però in alto mare.
da: Repubblica- Affari&Finanza, 11/11/2019