In Via Col di Lana, accanto alla Bocconi di Milano, l’insalata cresce nel Laboratorio di Agricoltura moderna e finisce nel ristorante della scuola di cucina sottostante. Colta e mangiata nel giro di qualche minuto. Questa vertical farm di 40 mq sta per trasformarsi in un impianto su larga scala di 1.500 mq in periferia.
Installabile su una nave o in un grattacielo, l’impianto ha vinto il premio ALBA (Associazione per il Lifestyle, il benessere e l’alimentazione), l’impianto utilizza circa 100.000 euro di tecnologia. Le verdure non devono essere trattate con sostanze chimiche di alcun tipo perché vivono al chiuso, in atmosfera controllata. Né devono essere lavate. Possono arrivare ancora vive a tavola, con un panetto di lana di roccia o di fibre di cocco che avvolge le radici.
Un mercato sempre più attento alla sostenibilità sta cominciando ad accorgersi delle vertical farm, come ben sanno in Giappone, Singapore, Olanda e Stati Uniti. Si tratta di un open space pieno di scaffali su cui vengono coltivate le piante, in atmosfera controllata, senza terra, ma con le tecniche dell’idroponica, e senza sole ma con lampade a led accese 16 ore al giorno. In teoria, in un grattacielo, ogni piano può avere la sua fattoria, senza far prendere all’insalata neanche l’ascensore.
Le radici galleggiano su un’acqua ricca di fertilizzanti, oppure su di esse viene nebulizzato un liquido nutriente. In questo modo si arriva ad un risparmio di acqua del 95%. Quello di suolo è proporzionale al numero degli scaffali. La maggior parte delle spese va in elettricità, sia per le luci che sostituiscono il sole, sia per la climatizzazione. Ma il sapore pare eccezionale, il basilico è addirittura più profumato e nutriente.
Il mercato delle vertical farm oggi nel mondo vale 2 miliardi di euro ma le previsioni sono di 5,8 miliardi nel 2022.
I margini di miglioramento sono tanti: i led vengono tarati sulle esigenze della pianta: ci sono specie, come il basilico, che crescono meglio con luci rosse e altre, come la lattuga, che preferiscono il blu.
Da La Repubblica – Scienze, 17/10/2019