Vincenzo Tanara (Bologna ? – Bologna dopo il 1644), di famiglia nobile con il titolo di marchese, è dapprima militare al servizio di vari Signori poi dal 1624 magistrato a Bologna è famoso per aver scritto L'economia del cittadino in villa che, dopo l'edizione veneziana del 1644, conosce altre nove edizioni. Conosciuto per la sua passione per la caccia, tipico svago rustico anche dell'ambiente cittadino, Vincenzo Tanara nella sua opera descrive un'agricoltura non destinata alla sopravvivenza dei contadini, ma l'organizzazione della vita in villa, descritta come una unità produttiva detenuta da una famiglia di rango nobiliare o alto-borghese e orientata alle produzioni che abbiano mercato. In quest’opera vi è una chiara testimonianza di quanto ai suoi tempi poco siano considerati i funghi, diversamente da quanto oggi avviene nella nostra cultura alimentare e gastronomi-ca, dimostrando di come possano variare i gusti della tavola e al tempo stesso rendere cauti nel trasferire i nostri giudizi a tempi, luoghi e soprattutto culture di-verse. Infatti se nel XVI secolo prevaleva una gastronomia micofoba, oggi siamo in piena gastronomia micofila. Le culture alimentari umane possono essere infatti distinte culture micofile e culture micofobe e, se le prime amano i funghi, le se-conde li disprezzano e li escludono dal loro orizzonte culinario.
Vincenzo Tanara documenta la micofobia del XVI secolo in modo preciso in alcuni passi del suo trattato quando dice che non si può far le nozze con i funghi, che sono ancora li fonghi con qualche presagio, perché si dice anno fongato anno tribolato, che il nome di fungo significa morte e soprattutto che i funghi sono come le meretrici, ma a questo proposito è utile riporta il testo in una sua trascrizione attualizzata. Ad ogni modo l’uomo si espone a un pericolo tirato dalla gola da questo gusto. Ognuno sa che il fungo deriva da funus cioè dal dare morte e il boleto da bonum laetum quasi che portando una morte gustosa si possa chiamare buona, tuttavia basta il vederne, che non si trova chi, ancorché quasi naufragato con quelli, non si sottoponga a un nuovo pericolo. Oltre ciò mi pare che i funghi siano come le meretrici, da tutti biasimati e da tutti seguiti. Sempre il Tanara aggiunge che dei funghi si può dire che non sono né carne né pesce e pure si mangiano nei giorni destinati al pesce, alcuni paiono carne e i tartuffoli hanno sapore di carne e che i funghi mediante la cottura trasmettono un tal sugo gustoso che o da essi stessi o assieme con altre vivande li rendono tanto desiderabili, ancorché da tutti siano conosciuti di mal nutrimento o mortali.
Non si può far le nozze con i funghi è un proverbio dell’Italia settentrionale, mentre in quella meridionale i funghi sono sostituiti dai fichi secchi, che permane anche in seguito come attestato da Lorenzo Magalotti (1637 – 1712) il quale nelle Lettere scientifiche ed erudite del conte Lorenzo Magalotti cita che ... Voi sapete che a noi altri riesce alle volte il far propriamente le nozze co’ funghi. Il proverbio si trova anche nel Nouveau dictionnaire francois-italien composé sur les diction-naires de l'Académie de France et de la Crusca, Enrichi de tous les termes propres des sciences et des arts ... Par M. l'abbé François d'Alberti de Villeneuve, dans cette première édition italienne nouvellement corrigé, amélioré, & augmenté ... – Remondini, Venezia, 1777. E una sua citazione arriva fin quasi a noi con Riccardo Bacchelli (1891 – 1985) nel suo Il Mulino sul Po.
C’è un detto, molto eloquente, che recita “Fare le nozze con i funghi” oppure “Fare le nozze con i fichi secchi” che ha lo stesso significato e che più o meno – per chi non lo sappia – significa avere la pretesa di imbarcarsi in un’impresa con mezzi assolutamente inadeguati ed insufficienti. Trasparente è il significato del proverbio che significa non voler rinunciare a una cosa pur non avendone le possibilità, pretendere di fare qualcosa d'importante senza disporre dei mezzi adegua-ti, e quindi farla male, in economia. Le nozze sono un’occasione in cui in genere non si bada a spese per fare il bene degli sposi e per ben figurare davanti a tutti gli invitati, ecco perché non si può allestire il ricevimento con cose da nulla. Il fico era appunto considerato sinonimo di nulla (non valere un fico) perché nasceva spontaneamente e non era prodotto da commercio e lo stesso vale per i funghi che in passato non avevano valore nella gastronomia e poiché nascono spontaneamente nel bosco erano cibo degli animali selvatici.
L’imprevedibile comparsa dei funghi, spesso in forma di cerchi (cerchio delle streghe) era spesso riportata a interventi malefici e da qui il presagio di anno fongato anno tribolato, in un pensiero collegato alla certamente già citata, non corretta etimologia fungo da funus cioè dal dare morte e il boleto da bonum laetum, mentre la loro non positiva qualificazione di meretrici, in un’era di diffusione della sifilide, si richiama i rischi della micofagia. Mangiare funghi poneva inoltre di fronte al problema di come considerarli, perché non sono carne e neppure pesce, ma alcuni di carne hanno sapore, mentre di particolare interesse è quando Vicenzo Tanara afferma che i funghi, ancorché conosciuti di mal nutrimento o mortali, mediante la cottura trasmettono un tal sugo gustoso che o da essi stessi o assieme con altre vivande sono tanto desiderabili e questo spiega come da cibo ignobile e di scarso valore dei secoli XVI e XVII divengono graditi e ricercati nei secoli successivi.
Il passaggio da un’antica micofobia all’attuale micofilia avviene nella gastronomia borghese ottocentesca che con la sua cucina dei sughi valorizza e esalta quanto già intravisto in precedenza e segnalato da Vincenzo Tanara con il suo sugo gustoso che richiama il sapore della carne. Ma questa è un’altra storia.