L'industria enologica nazionale vive un momento di grande trasformazione qualitativa, che ha indirizzato la filiera verso l'utilizzo di sistemi innovativi in grado di garantire ed esaltare le caratteristiche di tipicità, qualità e sicurezza del prodotto. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche da anni si occupa del settore per contribuire, attraverso il trasferimento dei risultati scientifici, al potenziamento di una voce importante dell'economia nazionale. Uno degli aspetti su cui si lavora presso i laboratori dell'Istituto di scienze delle produzioni alimentari (Ispa) è la riduzione dell'addizione ai mosti e ai vini dell'anidride solforosa (SO2), utilizzata per il controllo della stabilità chimico-fisica e microbiologica nella vinificazione, mediante l'impiego di nuove combinazioni microbiche in grado di dominare i processi fermentativi.
“La tossicità (cronica e acuta) di quest'additivo è infatti nota e l'Oms ha da tempo stabilito una Dga (Dose giornaliera ammissibile) pari a 0,7 mg/Kg di peso corporeo”, spiega Francesco Grieco del Cnr-Ispa. “A oggi, la prassi tradizionale nelle aziende vinicole prevede l'aggiunta iniziale di solfito, che libera SO2 nel mosto per inibire la crescita dei lieviti selvatici non-Saccharomyces presenti sulle uve; segue poi l'aggiunta di colture pure di lievito appartenenti alla specie Saccharomycescerevisiae, che svolgono il processo di fermentazione alcolica. I vini rossi hanno bisogno anche di una seconda fermentazione, detta malolattica (trasformazione dell'acido malico in acido lattico), ad opera di consorzi di batteri lattici presenti naturalmente e, solo sporadicamente, mediante aggiunta di colture pure di origine commerciale".
L'innovazione messa a punto dall'Istituto riguarda e il "trasferimento tecnologico di un protocollo per l'aggiunta simultanea nei mosti di uno starter misto, composto da tre differenti colture pure di lieviti e batteri selezionati (non-Saccharomyces, Saccharomyces e batteri lattici)," prosegue Greco. Tale procedimento permette l'inibizione di popolazioni microbiche selvatiche con un miglioramento della stabilità microbiologica e conseguente riduzione dell'impiego di anidride solforosa. “L'inoculo simultaneo consente di ottenere vini finiti, pronti per la commercializzazione in tempi ridotti, diminuendo le possibilità di alterazioni microbiologiche dovute allo sviluppo di batteri acetici, lattici o lieviti, favorendo al contempo la sicurezza alimentare”.
Rimanendo in tema di sicurezza nel settore enologico, si segnala anche un altro progetto che ha come obiettivi lo sviluppo di metodi analitici rapidi e la rimozione dell'ocratossina A (Ota) prodotta sull'uva dal fungo Aspergillus carbonarius. Una minaccia soprattutto per i vini rossi. “L'elevata tossicità a basse concentrazioni e la lunga persistenza nei fluidi biologici (emivita di circa 35 gg nell'uomo) rendono l'Ota un rischio concreto e insidioso”, spiega Veronica Lattanzio sempre del Cnr-Ispa. Soprattutto nelle annate con condizioni climatiche sfavorevoli (piogge ed elevata umidità), durante la maturazione e la raccolta, si registrano livelli elevati di Ota nelle uve e nei vini. A tale riguardo, è stato messo a punto un test, di rilevazione simile nel principio a quello usato per la gravidanza, veloce ed economico, che può essere svolto direttamente in cantina, evitando l'invio di campioni a laboratori specializzati. “Il test non prevede solventi tossici e si basa sull'interazione tra antigene – l'ocratossina – e l'anticorpo”, continua la ricercatrice. “L'operatore deve semplicemente prelevare pochi microlitri del campione di vino, depositarli sullo strip e attendere alcuni minuti lo sviluppo delle bande colorate. Piccoli scanner portatili hanno progressivamente sostituito l'interpretazione visiva del risultato, rendendo le misure più affidabili e riproducibili".
Ma in caso si verificasse un risultato positivo, il prodotto può essere salvato attraverso l'impiego di una metodologia e di un impianto, sviluppati sempre al Cnr-Ispa, destinati a rimuovere la tossina. In sintesi, si tratta di percolare i vini danneggiati su un quantitativo di vinacce incontaminate che, per loro natura, sono in grado di assorbire la tossina. “Per tale processo, detto ripasso, è stato recentemente brevettato dal nostro Istituto un impianto automatizzato”, dichiara Michele Solfrizzo del Cnr-Ispa. “Esso comprende anche la stabilizzazione delle vinacce per un periodo di almeno due mesi, durante i quali è possibile utilizzarle per trattare sia i mosti, all'inizio e durante il processo di vinificazione, sia i vini fermi. In sole cinque ore si rimuove l'80% di Ota da volumi di mosto/vino proporzionali alle dimensioni dell'impianto che può essere scalabile. Il procedimento ha facilità di impiego, perché automatizzato, ha la caratteristica della versatilità anche a fermentazione ultimata e, infine, può essere adoperato per migliorare le qualità organolettiche di vini poveri o perfino per crearne di nuovi”.
Novità Cnr anche sul fronte della spumantizzazione, per cercare di stabilire un suggello più forte tra territorio e prodotto finito. Infatti, al posto del consueto utilizzo, per la seconda fermentazione del vino, di ceppi di lievito appartenenti alla specie Saccharomyces, isolati e selezionati all'estero, “è possibile ricorrere alle moderne tecniche di analisi genetica, adoperando nuovi ceppi autoctoni, le cui proprietà tecnologiche e metaboliche consentiranno il miglioramento qualitativo dei vini spumante regionali e la salvaguardia delle popolazioni microbiche autoctone associate alle principali aree produttive”, commenta Grieco.
L'innovazione scientifica può aiutare le aziende di settore nel rimanere competitive sul mercato globale, conclude Antonio Logrieco, direttore del Cnr-Ispa: “Le attività di ricerca di Istituti riconosciuti a livello internazionale possono valorizzare, assieme al mondo produttivo, l'intero sistema qualità del settore viti-vinicolo italiano facendo emergere le caratteristiche peculiari delle cultivar autoctone, dei processi di vinificazione e, nel contempo, garantire la sicurezza anche mediante il trasferimento delle innovazioni in tutti gli stadi della filiera, incluso quello della tracciabilità”.
Di Sandra Fiore, in: Almanacco della Scienza, N. 10 – 2/10/2019