Ritorna l’attenzione sui dazi, ma questa volta il motivo non è il grande scontro fra US e Cina, ma la produzione agricola e alimentare italiana. Due casi molto diversi. In questi giorni e, presumibilmente, anche nelle prossime settimane, grande spazio sulla stampa e i mezzi di informazione per la decisione della Wto di consentire agli US l’applicazione di dazi per un ammontare di 7,5 miliardi di $ a prodotti provenienti dall’Ue e importati negli US e che colpirebbero anche l’agroalimentare italiano. La vicenda nasce da un contenzioso aperto nel 2004 dagli US per aiuti pubblici ritenuti indebitamente concessi dall’Ue ad Airbus che avrebbero danneggiato Boeing. La decisione finale della Wto è favorevole agli US che hanno comunicato la lista dei prodotti da sottoporre alla ritorsione e le tariffe applicate. Un’analoga procedura era stata aperta dall’Ue per aiuti concessi a Boeing e ritenuti pregiudizievoli per Airbus. La sentenza è attesa nei prossimi mesi. Ciò rende probabile un ritardo nell’applicazione dei dazi americani e la possibile apertura di una trattativa fra le parti nel caso di una sentenza in senso inverso a quella attuale.
Altro caso è invece l’applicazione di dazi da parte degli US con decisioni unilaterali ad esempio per 300 miliardi di $ da settembre verso la Cina, che ha avviato una procedura alla Wto per avere il diritto di imporre misure compensatorie. Il comportamento US si è ripetuto al di fuori delle regole Wto, mentre la ritorsione cinese si richiama alle procedure previste dagli accordi internazionali vigenti come nel caso US/UE.
L’ uso dei dazi è completamente diverso e introduce nuovi motivi di riflessione oltre a quelli proposti in questa sede in un precedente contributo poche settimane fa. Si rileva una duplice e contrastante interpretazione della loro applicazione in particolare da parte degli US. Nel caso attuale tutto avviene in conformità agli accordi multilaterali vigenti, in quelli degli scorsi mesi, invece, secondo modalità improprie, unilaterali e “aggressive”. La differenza fra le contese multilaterali e quelle bilaterali trova così una chiara rappresentazione, tuttavia il fatto che gli US non abbiano abbandonato il modello multilaterale è importante per il riconoscimento che ciò implica anche nel contenzioso relativo alle recenti mosse degli stessi US.
Per l’Italia che da spettatrice diventa partecipe della contesa è un fatto negativo che colpisce un settore chiave delle nostre esportazioni. Nel calore del momento sono state effettuate numerose stime spesso affrettate e contrastanti. Nomisma quantifica un possibile impatto di 482 milioni di dollari sui nostri prodotti, un importo che in questo ambito colpirebbe il 9% delle nostre esportazioni e pari a meno di quelle francesi o inglesi.
Nei prossimi giorni si vedrà come e se gli US intendano procedere e quali reazioni metterà in campo l’Ue, anche in relazione all’altra causa pendente in materia. Come è già avvenuto in altri casi la soluzione più probabile è l’apertura di un negoziato fra le parti confermando così che il ritorno ai dazi può essere uno strumento di pressione nei negoziati più che di reale imposizione di barriere, improprie nella controversia US/Cina, correttamente applicate nel caso Airbus.
In sintesi si conferma la natura negativa di questo strumento, grave in particolare nel momento in cui gli scambi commerciali mondiali sono in rallentamento e la tanto auspicata ripresa dell’economia è in frenata.
Una seria riflessione, anche con tutte le differenze esistenti, sul ritorno a regole più rispettate e condivise e a pratiche meno grossolane si impone, nell’interesse dell’intera economia mondiale. L’impressione, invece, è che si scherzi col fuoco.