I faggi possono difendersi dagli eventi estremi legati al cambiamento climatico utilizzando le riserve di carbonio immagazzinate sino a cinque anni prima e possono tornare a riemettere le foglie perse in seguito a una gelata primaverile e a riprendere la fotosintesi. Lo ha dimostrato un team internazionale guidato da due istituti del Consiglio nazionale delle ricerche (Isafom-Istituto per i sistemi agricoli e forestali del mediterraneo e Iret-Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri) in collaborazione con l’Istituto per la biogeochimica del Max-Planck di Jena (Germania).
Nel 2016 i boschi di faggio del Centro e Sud Italia erano stati colpiti da gelate tardive primaverili. In particolare, nella faggeta abruzzese di Selva Piana (Collelongo, Aq), a 1.500 m slm (appartenente alla Rete di ricerche ecologiche di lungo termine Lter–Italia), la temperatura era scesa fino a –6.5°C, causando una completa defoliazione: si è quindi scoperto che gli alberi erano tornati a formare interamente gemme e foglie ricorrendo, per circa due mesi, alle riserve di carbonio.
I ricercatori hanno stimato l’età media del carbonio che costituiva queste riserve per determinarne l’origine attraverso la datazione con radiocarbonio. Lo studio pubblicato su New Phytologist indica che le riserve utilizzate dagli alberi durante il periodo senza foglie sono diventate progressivamente più “vecchie”, sino a raggiungere, un mese dopo la gelata, un’età di cinque anni, ossia sono risultate costituite dal carbonio fissato attraverso la fotosintesi nel 2011. Lo studio mostra il livello di resilienza degli ecosistemi in risposta ad eventi estremi.
Inoltre, si è stimato che subito prima della riemissione delle foglie, le piante studiate utilizzassero riserve ‘messe da parte’ sino a nove anni prima” come ha sottolinea Ettore D’Andrea, primo autore dello studio. “Questi dati – prosegue - dimostrano per la prima volta che, per sopravvivere a periodi senza apporto di carboidrati da fotosintesi, alberi di faggio completamente defoliati sono in grado di mobilizzare le riserve immagazzinate diversi anni prima. Il contenuto di riserve della faggeta studiata è risultato ristabilito al termine della stagione vegetativa del 2016, confermando così la plasticità del faggio agli stress ambientali”.
Fonte: Comunicato CNR, 27/8/2019