Tra il 2011 e il 2017, nell'Ue la quota di migranti che lavora in agricoltura è aumentata dal 4,3% al 6,5% del totale degli occupati nel settore. Tendenza particolarmente forte in Paesi come Danimarca, Spagna e Italia, dove l'agricoltura assorbe una percentuale di lavoratori stranieri più alta di quasi 8 punti rispetto agli altri Paesi Ue.
Sono i dati raccolti dal rapporto sulla migrazione e le aree rurali, pubblicato dal Centro comune di ricerca (Ccr) della Commissione europea, con studi dettagliati su Spagna e Italia. Nella penisola la percentuale dei lavoratori stranieri impiegati in agricoltura è aumentata dal 15 al 20% del totale dei migranti, in particolare nelle aree dove è forte la domanda di lavoratori stagionali per la produzione di frutta e ortaggi.
La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di schiavitù, Urmila Bhoola, esorta il governo italiano a prevenire in modo più efficace lo sfruttamento dei migranti nel settore agroalimentare, vittime del caporalato, affrontando il problema alla radice e riconoscendo i migranti quali titolari di diritti. Se è vero che passi concreti e progressi sono stati compiuti in Italia, la situazione attuale «non è sostenibile», afferma la relatrice in un rapporto pubblicato nei giorni scorsi a Ginevra. L'esperta dell'Onu, che ha visitato l'Italia dal 3 al 12 ottobre 2018, sottolinea l'impatto diretto delle politiche migratorie sulla vulnerabilità dei migranti allo sfruttamento, al lavoro forzato e alla schiavitù. Secondo le stime citate dal rapporto, ogni anno circa 430.000 lavoratori sono a rischio di essere assunti tramite caporali, di questi oltre 100.000 possono subire gravi sfruttamenti. La maggior parte sono migranti provenienti da Africa, Europa orientale, Balcani, India e Pakistan e secondo le stime, quasi la metà (42%) dei lavoratori agricoli irregolari sono donne. Il governo italiano sta prendendo provvedimenti concreti per affrontare lo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore agricolo, afferma la relatrice menzionando in particolare «il solido quadro giuridico che criminalizza il caporalato».
Se le leggi e le politiche esistenti fossero attuate in modo efficace, si potrebbe porre fine allo sfruttamento lavorativo, aggiunge. Tuttavia la questione dello sfruttamento della manodopera nel settore dell'agricoltura è stata affrontata in modo insufficientemente coordinato, adeguato ed efficace, sottolinea il rapporto, esortando politiche strutturali che affrontino i diversi aspetti del fenomeno caporalato.
Da Terra e Vita, 26/8/2019