Non c’è mai stato un periodo della storia, da 2.000 anni a questa parte, in cui il clima è cambiato così velocemente e in maniera così comprensiva su scala globale. Cade così uno dei pilastri sui quali si fondano alcune delle teorie di chi nega la responsabilità dell’uomo del global warming e della crisi climatica.
I negazionisti affermano che i cambiamenti che il Pianeta sta attraversando negli ultimi decenni, come già nel passato, hanno visto periodi con fluttuazioni delle temperature molto consistenti. I più celebri sono il riscaldamento durante il periodo dell’Impero romano (III-V secolo dopo Cristo), il Periodo caldo medievale (X-XIII secolo) e la Piccola era glaciale, spalmata dal XIV al XVI secolo. Quindi non sarebbe l’uomo a far bollire il Pianeta, ma sarebbe una fluttuazione 'naturale' perché si pensava (erroneamente) che questa altalena climatica abbracciasse tutto il globo. Quello che manca era proprio un confronto tra le varie zone della Terra. Queste fluttuazioni sono registrate anche dagli storiografi, gli annali contengono dunque informazioni soprattutto di quelle regioni all’epoca più 'civilizzate', come l’Europa.
Tre studi, pubblicati su Nature e Nature Geoscience da un team internazionale di ricercatori, hanno ricostruito l’andamento del clima degli ultimi due millenni analizzando anche gli 'archivi' che la natura stessa ci ha lasciato in giro per il mondo. In particolare gli anelli degli alberi nelle foreste dell’emisfero settentrionale, in Nordamerica, Europa e Asia, che registrano con molta precisione le caratteristiche del clima ogni anno; i coralli delle barriere sparse tra l’oceano Indiano, il Pacifico e i Caraibi, il ghiaccio antico in Antartide, al Polo Nord e sui ghiacciai andini e in Himalaya; e i depositi di laghi e mari. Scoprendo che in tutti i casi citati, l’aumento o il crollo delle temperature non si erano verificate dappertutto. Anzi.
Secondo i ricercatori, ad esempio, la Piccola era glaciale aveva interessato il Pacifico nel XV secolo per chiudere nella tenaglia del gelo l’Europa solo nel XVII. Gli artisti ne furono affascinati, soprattutto nel Europa, ne troviamo testimonianza nei dipinti che raffigurarono fiumi e canali in Olanda e Inghilterra (celebre il Tamigi ghiacciato) usati come piste da pattinaggio. Uno dei paper individua nelle eruzioni vulcaniche nella fascia tropicale, la causa del crollo delle temperature nella prima parte del XIX secolo. Il periodo caldo medievale, invece, interessò appena il 40% del globo. Al contrario, il riscaldamento progressivo iniziato dopo la Rivoluzione industriale, attorno al 1850, sta interessando il 98% della Terra. Nessun fenomeno in epoca preindustriale è arrivato a comprendere una porzione così grande del Pianeta.
Uno dei grafici riportato dagli scienziati sintetizza molto bene il reale cambiamento. Viene definito hockey stick diagram, il diagramma a bastone da hockey, perché al termine di un periodo con fluttuazioni contenute, mostra un picco nell’innalzamento dei valori. Quello che stiamo sperimentando in questa epoca. La differenza è così evidente che è davvero difficile sostenere che sia qualcosa di naturale, soprattutto se associato a un fatto non sindacabile: da oltre un secolo e mezzo stiamo pompando in atmosfera gas serra in quantità che non si erano mai registrate da centinaia di migliaia di anni.
Di recente si è toccato il record di 415 parti per milione di CO2, e secondo i climatologi tagliare le emissioni potrebbe non bastare per evitare che la temperatura salga ancora, superando quei 1,5 gradi in più rispetto all’epoca preindustriale che è l’obiettivo dell’accordo di Parigi.
da: Repubblica.it, 25/7/2019