La scoperta del Nuovo Mondo sortì un immediato impatto in Europa già dalla fine del XV secolo, come testimoniato da una serie di opere e opuscoli, alcuni dei quali redatti anche dallo stesso Cristoforo Colombo.
In questo cruciale fenomeno storico, un ruolo significativo è giocato dalle immagini: carte geografiche, mappe, figure di nativi, ma, soprattutto, tavole dedicate ad una flora e a una fauna tanto diverse prodotte dagli stessi esploratori, che ben presto ritennero opportuno valersi di artisti specializzati per attestare quella sorprendente realtà naturale. A questi
corpora di immagini opera di Europei, vanno accostati quelli eseguiti da artisti locali (
tlacuilos), che innescano il cruciale problema della recezione di una “incognita” natura da parte del Vecchio Mondo.
Una eccezionale e precoce testimonianza delle piante americane è offerta dai festoni affrescati da Giovanni da Udine nella Loggia raffaellesca di “Amore e Psiche” nella romana Villa Farnesina (1517), dove si possono ammirare immagini del granturco (
Zea Mays) e di alcune cucurbitacee (
Cucurbita pepo).
Già a partire dalla prima metà del XVI secolo inizia in tutta Europa ad imporsi una nuova e più mirata attenzione alla natura che si concretizza nella produzione di immagini nelle quali il reperto botanico o zoologico appare “decontestualizzato”, isolato dal luogo fisico, per offrirsi all’analisi in tutta la sua “oggettività”, frutto di una precisa raffigurazione mimetica.
Contemporaneamente, complice la straordinaria invenzione della stampa, vedono la luce opere di botanica medica e di zoologia che si distinguevano profondamente dagli erbari e dai bestiari medievali. Si trattava di veri e propri trattati che preludevano alle pubblicazioni scientifiche, tra i quali quelli dedicati alla botanica di Otto Brunfels, Leonhart Fuchs, Pietro Andrea Mattioli e la storia degli animali di Konrad Gessner, tutti testi corredati da un ricco apparto iconografico che supportava la descrizione scritta nella comprensione di forme e fenomeni.
Naturalmente in questi testi appariva evidente una spiccata curiosità per i reperti naturali che giungevano in Europa dalle terre recentemente scoperte. Il medico tedesco Leonhart Fuchs pubblica, ad esempio, nel suo
De Historia Stirpium (1542) una dettagliata figura del mais, denominandolo tuttavia ‘turcicum frumentum’ in quanto “e Grecia & Asia in Germaniam venit”.
Le tavole di flora e fauna del Nuovo Mondo, che iniziavano a circolare con sempre maggiore frequenza, furono ambite non solo dai naturalisti che se ne valevano per i loro studi, ma anche da numerosi principi e sovrani interessati alla natura di quelle terre lontane sulle quali aspiravano dominare.
Tra gli uomini di scienza italiani si impone la figura del medico bolognese Ulisse Aldrovandi che riuscì a raccogliere numerose tavole di esemplari di flora e fauna americane, che auspicava di pubblicare nelle sue opere.
Tra i sovrani europei attratti dal Nuovo Mondo si distinsero, tra gli altri, i Granduchi Medicei, le cui collezioni fiorentine e pisane si arricchirono ben presto di reperti (codici, maschere, stoffe) provenienti in particolare dal Messico. Un significato particolare riveste anche il
corpus di straordinari “ritratti” di piante e animali “peregrini”, presi a modello dal pittore Jacopo Ligozzi nei giardini e nei serragli fiorentini.
Accanto a queste immagini prodotte nel Vecchio Mondo, sono giunti fino a noi anche alcuni codici illustrati dagli artisti nativi, le cui tavole dedicate alla flora e alla fauna privilegiano una visione sintetica che non testimonia rigorosamente il dato naturale e che risulta caratterizzata da una accentuata volumetria e da colori vivaci e puri accostati per contrasto, un espediente che rimanda all’arte plumaria nella quale eccellevano molti popoli precolombiani.
Due opere eseguite nell’antico Messico si offrono in particolare come esempi emblematici. Il primo è il
Libellus de Medicinalibus Indorum Herbis, un testo illustrato di “materia medica”, esistente in due redazioni (a Città del Messico e a Windsor Castle in Inghilterra), redatto nel 1522 in lingua nahuatl da Martin de la Cruz, un medico nativo convertito del Collegio di Santa Cruz a Tlatelolco.
Il secondo è il così detto
Codice fiorentino (Firenze, Biblioteca Laurenziana) o
Historia de las Cosas de Nueva Espaňa, una vasta enciclopedia naturalistica redatta sempre in Messico tra il 1550 e il 1590 dal missionario Bernardino de Sahagún che aveva trascorso in Mesoamerica tutta la vita.
Le piante raffigurate in questi due codici sono caratterizzate da una felice creatività niente affatto primitiva che si distingue tuttavia profondamente dall’approccio realistico che caratterizzava le contemporanee immagini europee.
Queste tavole eseguite nel Nuovo Mondo furono studiate approfonditamente da alcuni naturalisti affiliati alla romana Accademia dei Lincei, impegnati nella redazione di una corposa opera illustrata,
Rerum Medicarum Novae Hispaniae Thesaurus, più nota come
Tesoro Messicano che per varie vicende fu stampata solo nel 1651.
Alcune di queste “piante indiane” suscitarono anche l’ammirato stupore di Galileo Galilei che ebbe modo di ammirarle nel 1612 nella dimora romana del linceo Federico Cesi.