Un nuovo studio dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar) di Venezia, pubblicato sulla rivista
Scientific Reports, documenta l’impronta di molteplici attività dell’uomo sui fondali della Laguna di Venezia attraverso una mappatura svolta con strumenti geofisici ad altissima risoluzione. L’approccio, molto innovativo in ambienti a bassissima profondità, potrà essere usato in altre lagune e aree costiere del nostro pianeta per capire quanto siano pervasivi gli impatti delle attività antropiche.
Di grande rilevanza sono le strutture erosive operate dalle correnti di marea attorno alla maggior parte delle infrastrutture costiere realizzate su base subacquea, come i moli detti ‘lunate’ che proteggono le bocche di porto dalle onde marine, dove si sono formate depressioni di alcuni metri nel giro di pochissimi anni successivi alla loro costruzione. Effettuare rilievi ripetuti nei prossimi anni con gli stessi strumenti utilizzati in questo studio permetterà di individuare precocemente e, sperabilmente, prevenire eventuali crolli delle dighe stesse.
Lo studio conferma poi la presenza di una gran quantità di rifiuti marini nei canali lagunari. Non ci si deve preoccupare solo della presenza sempre più invasiva di rifiuti antropici sulla superficie del mare o sulle spiagge, ma anche di quelli che si accumulano sul fondale, per certi versi più rischiosi proprio in quanto invisibili. In un’epoca in cui la dinamica del Pianeta è condizionata in modo sostanziale e pervasivo dall’azione dell’uomo, anche il fondo marino è stato modificato radicalmente da attività quali la pesca, i dragaggi, la navigazione, le infrastrutture costiere e, non da ultimo, dall’abbandono di un’inimmaginabile quantità di rifiuti sul fondo.
E’ stata scelta la laguna di Venezia per testare questo approccio allo scopo di far capire che in tutte le aree costiere e nei fondali marini non abbiamo solo il problema dell’inquinamento da sostanze chimiche ma anche quello dei rifiuti solidi, al di là delle plastiche e microplastiche oggetto di una diffusa attenzione, e quello di strutture necessarie come moli e dighe, rispetto alle quali però bisogna tenere conto delle modifiche ai campi di corrente che esse stesse inducono e da cui possono essere messe in pericolo.
Fonte: Comunicato Stampa CNR, 20/5/2019