Rileggendo con animo sereno il libro di Paolo Nanni e Pier Luigi Pisani
“Proverbi agrari toscani. Letteratura popolare, vita contadina e scienza agraria tra sette e ottocento", Quaderni della rivista di storia dell’agricoltura. Accademia dei Georgofili, 2003, uno studioso del suolo non può che rimanere colpito da due aspetti.
Il primo è quello di rilevare come già nel Settecento era forte la coscienza ambientale non solo attraverso la corretta regimazione idrica ma anche attraverso fonti di abbellimento paesaggistico e di riserva di biodiversità come la presenza delle siepi. Si possono trovare diversi proverbi su questo, ma il loro significato si può riassumere nel seguente:
“Beato quel campetto che ha siepe col fossetto”.
Il secondo riguarda l’attenzione che veniva riposta alla fertilizzazione organica del suolo e che può essere esemplificata in questo proverbio:
“Chi cava e non mette, le proprietà si disfanno” cioè lavorando il terreno, ma senza mettere il concime (letame) nei solchi, il podere si rovina.
Guarda caso sono proprio due degli aspetti che oggi rappresentano le principali cause di degradazione del suolo. Più volte si è ripetuto che i due terzi dei suoli italiani sono ormai degradati (ma anche la situazione a livello planetario non è che sia poi molto dissimile) e le cause sono proprio l’abbandono delle corrette sistemazioni idraulico agrarie in seguito alla modernizzazione dell’agricoltura e il forte depauperamento della sostanza organica il cui contenuto in molti suoli è sceso al di sotto dell’1%, soglia ritenuta assai critica nella definizione delle qualità dei suoli.
Anche le siepi sono praticamente scomparse dalle nostre campagne, in modo particolare nelle grandi aziende e non c’è dubbio che anche questo contribuisce alla perdita di biodiversità, ormai riconosciuta come un effetto preoccupante ma altrettanto difficile da contrastare.
Con questo non si vuole sostenere un ritorno al passato, il titolo è chiaramente provocatorio. È chiaro che lo sviluppo sociale ed economico non può essere arrestato, ma deve avvenire nel rispetto dell’ambiente e delle sue risorse, considerando anche che, a seguito dell’azione dell’uomo, i suoli di buona qualità stanno diventando una specie in via di estinzione. Occorre però riappropriarsi del significato dei suddetti due aspetti e cercare di porre in essere azioni adeguate a tal fine. Sappiamo, ad esempio, che le monocolture sono ormai insostenibili, tuttavia si stenta a vedere reimpostate delle rotazioni efficaci; sappiamo che le lavorazioni del terreno nel lungo termine sono insostenibili, tuttavia si vedono ancora trattori enormi operare arature ancora eccessivamente profonde, ignorando di fatto gli effetti negativi del compattamento sul terreno. Si può tentare di arginare il depauperamento di sostanza organica del suolo, oltre che con il riciclo di materiali organici, con il sovescio di leguminose ma che dovrebbe andare ben oltre quello previsto nelle attuali norme delle politiche agricole comunitarie. Il tutto è poi complicato dal fatto che nel suolo i processi avvengono nel lungo termine e quindi occorrono anni prima di vedere risultati positivi di una corretta pratica colturale. Sappiamo, anche, che coltivare il vigneto a rittochino in ambiente collinare non è sostenibile a meno che non si adotti l’inerbimento, ma in molte aree del centro-sud si ritiene non attuabile perché, in caso di estate eccessivamente siccitose, probabili alla luce dei cambiamenti climatici in atto, le piante erbacee entrano in competizione con la vite a danno della produzione; occorrerebbero impianti di irrigazione a goccia e serbatoi di raccolta dell’acqua piovana, ma l’agricoltore medio, da solo, non può permettersi di sostenere costi aggiuntivi per queste opere. Infatti, è difficile parlare di agricoltura sostenibile se non si garantisce all’agricoltore stesso un reddito dignitoso. Il problema è questo: alcuni prodotti, come il grano e il latte, ad esempio, vengono pagati al produttore meno di quanto venivano pagati trenta anni fa!
Del resto la gestione del territorio non è un problema scientifico ma politico. La ricerca oggi è in grado di fornire tutti gli elementi per operarne una corretta gestione ma deve essere la politica a consentirne la corretta attuazione. Per realizzare questo, occorre però la consapevolezza e il coinvolgimento di tutta l’opinione pubblica, nessuno escluso e forse conoscere cosa si faceva e si pensava in un lontano passato può aiutare.