Gli ambientalisti si domandano mai quale sia la componente essenziale del nostro cibo?
Ebbene, si tratta del carbonio, che viene assimilato dalle piante sotto forma di CO2, che è l’unico stadio grazie al quale il carbonio passa dallo stato fisico a quello vivente.
Milioni di anni addietro la presenza della CO2 sul nostro pianeta era venti volte maggiore dell’attuale, e in quel periodo apparvero le prime piante, capaci di assimilarlo ma poco efficienti nel farlo per la sua presenza massiccia.
La progressiva riduzione della CO2 nell’atmosfera fece sviluppare piante dotate di apparati fogliari più efficienti nell’assorbimento di questo elemento vitale, ma la presenza della CO2 nell’aria è arrivata, pochi decenni addietro, ad un livello così modesto da mettere in pericolo – se fosse scesa ancora – la stessa sopravvivenza delle piante, primo elemento della catena alimentare che cul-mina nei cibi che mangiamo ogni giorno.
Grande utilizzatrice della CO2 è, dunque, l’agricoltura, e se si teme che il livello di tale gas cresca troppo, la vera cura sarebbe non già quella di intervenire mettendolo in enormi serbatoi sotterranei – come da alcuni ventilato, e la spesa sarebbe a dir poco catastrofica per l’economia mondiale – ma aumentando il verde presente sul pianeta, cosa realizzabile evitando la desertifica-zione, sviluppando tecnologicamente piante più “voraci” di CO2, che sarebbero così anche più produttive, insomma ampliando le superfici agricole e rendendole più efficienti.
Ma allora, ha senso l’allarme che moltissimi lanciano sull’inquinamento della terra? Certamente, ma non bisogna sbagliare nell’individuare le cause di esso, che vanno rinvenute nell’anidride solforosa, negli ossidi d’azoto e in molti altri residui di combustione e di altre attività che sono svolte dall’uomo, oltre che nelle emissioni vulcaniche.
Proprio sulla base di queste considerazioni, che la comunità scientifica sta studiando con sempre maggiore attenzione, si deve premere perché si cessino le sconsiderate battaglie contro un supposto nemico che, se ben adoperato, è il nostro migliore amico.
Per questo l’agricoltura deve essere sempre più performante, e non tanto grazie ad un uso abnorme di insetticidi e di erbicidi (che certi partigiani dell’ambiente antico, medievale e inefficiente, preferiscono chiamare con una parola senza senso, nella nostra lingua: pesticidi, cioè,
letteralmente, uccisori della peste), quanto mercé la sua modernizzazione, l’uso coerente delle tecnologie contemporanee, il recupero dei suoli e lo stop a certe cementificazioni dissennate.
Più agricoltura, dunque, e meno disaccoppiamento, a voler essere sintetici nel rivolgerci all’Europa e, indirettamente, alla WTO.
(Editoriale pubblicato su “Rivista di Diritto Alimentare” Anno VII, numero 1, Gennaio-Marzo 2013)