Nella sua storia, la PAC ha cercato di assicurare la sostenibilità economica delle imprese agricole attraverso il sostegno dei prezzi e un diffuso protezionismo, i pagamenti diretti, lo sviluppo rurale. Con la riforma in discussione, l’evoluzione prosegue con la proposta di nuovi strumenti di gestione dei rischi naturali e di mercato.
In Italia, la PAC ha mantenuto nelle aree rurali la presenza diffusa di piccole aziende, ma non è riuscita a ridurre alcuni gap strutturali e di produttività che mettono in difficoltà le nostre imprese rispetto ai tradizionali competitori europei, non ha favorito il ricambio generazionale e la diffusione di una forte imprenditorialità.
Dobbiamo difendere la PAC e le risorse finanziarie a essa destinate, ma dobbiamo anche guardare più in alto per verificare l’efficienza della PAC rispetto agli obiettivi posti e alla necessità di una politica agraria forte e attenta ai cambiamenti di scenario.
Dovremmo per questo essere noi i primi a sostenere la discontinuità tra vecchia e nuova PAC. Occorre superare il principio dell’universalità della PAC. È bene che la Commissione abbia affrontato il nodo dell’agricoltore attivo secondo il principio: selezionare i beneficiari, mirare gli obiettivi e le misure.
Da queste considerazioni dobbiamo partire per ragionare degli strumenti di gestione del rischio, la principale novità della proposta di riforma.
La Commissione europea dedica all’argomento gli articoli dal 37 al 40 della proposta di regolamento per lo sviluppo rurale. Le misure si articolano sui tre strumenti: assicurazioni agricole, fondi di mutualità, fondo di stabilizzazione del reddito.
Il successo della proposta è legata a due condizioni tutte da verificare: la diffusa adesione degli agricoltori e la decisione di destinare una quota delle risorse del 1° Pilastro (pagamento unico) alle polizze assicurative e al fondo di stabilizzazione. Può condizionare in negativo il successo delle misure proposte una diffusa inerzia al cambiamento dovuta alla diffidenza degli agricoltori nei confronti del comparto assicurativo e il ruolo che i pagamenti diretti della PAC giocano nella stabilizzazione dei redditi delle aziende agricole.
Una strategia di gestione del rischio deve basarsi su più azioni la cui efficacia deriva proprio dalla loro combinazione: tra le misure principali, ricordo la diversificazione produttiva e delle fonti di reddito, l’aggregazione dell’offerta e la contrattazione interprofessionale. Il trasferimento del rischio ad altri soggetti è, dunque, uno degli strumenti di gestione del rischio. Se l’agricoltore trascura gli altri, la sua efficacia è compromessa. I ritardi che abbiamo accumulato sull’organizzazione economica e l’interprofessione costituiscono il vero handicap del sistema di gestione dei rischi che tentiamo di costruire.
La messa in campo di strumenti di gestione del rischio renderà la PAC più coerente con gli obiettivi di crescita dell’Unione europea. Bisogna, per questo, mantenere alta l’attenzione sul tema: sarebbe, infatti, scelta miope e sbagliata puntare sulle opportunità offerte dalla riforma solo per rafforzare ed estendere, al minor costo per lo Stato, le assicurazioni agevolate per le calamità naturali. Sarebbe altrettanto miope attingere solo alle risorse del 2° Pilastro, perché si ridurrebbero i finanziamenti a favore dei piani di sviluppo aziendale, senza mettere in gioco le risorse del 1° Pilastro. Bisogna garantire adeguate risorse, comunitarie, nazionali e regionali, agli strumenti di gestione del rischio nella prospettiva di una loro forte e rapida diffusione nell’arco degli anni 2014-2020.
La riforma, secondo le previsioni, dovrebbe partire nel 2014 o 2015: dobbiamo approfittare di questo tempo per costruire un modello di gestione del rischio che sia più sostenibile e in prospettiva, più vantaggioso e accettabile dagli agricoltori.