Come è accertato, la globalizzazione ha messo in contatto il “mondo dei prodotti” e oggi sugli scaffali dei negozi e della grande distribuzione i prodotti del mondo ci solleticano con la loro variegata offerta. Osservare quegli scaffali è occasione spesso per porsi alcune domande o quantomeno lasciarsi trascinare dalla curiosità (almeno per chi non ha rinunciato ad essere sempre incuriosito dal nuovo). La globalizzazione può dunque essere vista anche come una opportunità!
Quei prodotti hanno una storia molto antica e nei loro paesi di origine sono serviti per secoli a sfamare e a sostenere la vita di intere popolazioni; pochi tuttavia immaginerebbero che su alcuni di essi già si scriveva, si studiava e se ne tentava la coltivazione in Toscana più di due secoli fa.
E’ il caso dell’
Eragrostis tef introdotto a Firenze negli anni settanta del Settecento grazie all’esploratore e viaggiatore inglese James Bruce (1730-1794) di passaggio dalla capitale del Granducato prima di trasferirsi a Roma. Era il 1773 e i semi erano stati consegnati all’allora direttore della Zecca, Antonio Fabbrini al quale la stessa Accademia dei Georgofili, di cui era socio ordinario, sovente aveva affidato partite di semi di cui tentare la coltivazione nel suo ameno giardino detto “agli Aranci”.
Erano da poco superati gli anni drammatici che avevano visto decimata la popolazione per fame; carestie tremende che avevano avuto effetti devastanti non soltanto in Toscana, ma nell’intera Europa ed è noto quanto l’Accademia fiorentina avesse operato e operasse sia per difendere il grano dalle malattie, sia per trovare succedanei atti a nutrire la popolazione in assenza di frumento.
I Georgofili accolsero pertanto con grande favore la corposa Memoria avente ad oggetto il teff presentata da Attilio Zuccagni nel corso dell’Adunanza del 7 settembre 1774: “fu dato luogo a leggere per il primo al sig. dott. Attilio Zuccagni, il quale lesse una molto ben ragionata e istorica memoria sopra una pianta coltivata in Abissinia ed ivi nominata Tef, del seme della quale fanno quei popoli del pane”.
Zuccagni che a sua volta aveva dato avvio, grazie ad alcuni semi datigli dal Fabbrini, alla coltivazione del teff nel Giardino annesso al Gabinetto di storia naturale di cui era direttore, ottenne plauso unanime da parte degli accademici e seduta stante, non soltanto fu decretata la stampa della Memoria, ma fu anche acclamato socio ordinario: “e tanto essa piacque a quegli accademici, che trovandosi un posto vacante di Accademico ordinario per la morte del fu sig. Stefano Forzoni Accolti, lo conferirono ad esso a pieni voti”.
Il testo, col titolo
Dissertazione concernente l’istoria di una pianta panizzabile dell’Abissinia, conosciuta da quei popoli sotto il nome di Tef. Recitata il dì 7. Settembre 1774 nell’Accademia dei Georgofili di Firenze, dall’eccellentissimo sig. dottore Attilio Zuccagni medico fiorentino, e socio ordinario di essa, comparve a stampa dapprima nel volume 24 (1775) del
Magazzino Toscano, la rivista voluta, fondata, diretta e realizzata nella sua quasi totalità da Saverio Manetti e successivamente circolò con poche varianti, come opera autonoma, stampata da Giuseppe Vanni sempre nel 1775, arricchita da una deferente e affettuosa lettera dedicatoria al Fabbrini.
Nel verso della p. VII una curiosa nota a cura dell’Accademia, datata 29 maggio 1775 e firmata da Marco Lastri e Giovanni Lorenzo de’ Nobili ci informa che i Georgofili autorizzavano Zuccagni a fregiarsi del titolo di accademico ordinario.
Appartenente alla famiglia delle graminacee e nota probabilmente anche ai botanici del passato (secondo Zuccagni era da identificarsi nella
Poa tenella L. per il teff rosso o
Poa amabile L. per quello bianco), il teff produceva semi piccolissimi difficili da raccogliere e conservare in una mano, da qui il suo nome derivato dall’amarico
teffa, cioè “perdita”: “ Di siffatta piccolezza, oltre alle bastanti pruove, che noi ne abbiamo, per averli osservati nella stessa pianta, diconsi cose quasi incredibili, narrando … che detti semi sono minutissimi ed assai minori di quelli del papavaro, ed aggiungono gli autori dell’Enciclopedia alla parola Tef, che i medesimi sono di una piccolezza così estrema, che non giungono neppure alla decima parte della mole di un granello di senapa”.
Alle donne etiopi era affidato il compito di ridurli in farina e farne del pane che sottile e ben steso risultava per l’assenza di lievitazione, simile a focacce utili da trasportare da parte delle popolazioni nomadi, oppure poteva essere posto sopra delle stuoie, uso tovaglia, e consumato poi alla fine del pasto.
Zuccagni concludeva auspicando di essere riuscito nell’intento di divulgare notizie intorno ad una pianta “non del tutto conosciuta dai botanici, e poco rammentata dai viaggiatori” ma degna tuttavia di essere “aggregata alle piante panizzabili”, già ampiamente “rammentate e maestrevolmente illustrate da due insigni soggetti”: Giuseppe Manetti (Delle diverse specie di frumento e di pane siccome della panizzazione) e Giovanni Targioni Tozzetti (Alimurgia, o sia Modo di render meno gravi le carestie).