Il Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica regolamenta minuziosamente gli aspetti di metodo e di forma che conducono alla sistemazione tassonomica di una specie. Non si entra, però, nel merito della congruità delle proposte. In materia di ricerca scientifica questa libertà è sacrosanta.
Nell’ambito delle attività economiche e dell’applicazione delle leggi, invece, emergono le esigenze della certezza del diritto, di qui la necessità di vagliare la terminologia anche per evitare gli equivoci e distinzioni non rilevanti ai fini applicativi.
Forse la scienza dovrebbe prevenire e correggere gli errori: non propagarli; invece ci sono nomi scientifici forieri di confusione. Pinus halepensis subsp. halepensis di ragione dovrebbe essere una specie che vive ad Aleppo o che, comunque gravita sul Mediterraneo orientale; invece ad Aleppo non c’è: abbonda nel Maghreb ed in Andalusia e, a oriente, si ferma alla Grecia. Piuttosto a oriente c’è Pinus halepensis subsp. brutia che vorrebbe dire che è calabrese ma in Calabria non c’è.
Linneo nel suo trattato raccomanda che il nome scientifico si ispiri, per quanto possibile, al nome volgare. Così voleva fare Michele Tenore nel caso della quercia farnetto, ma a causa di un banale errore di stampa nella sua pubblicazione, il nome scientifico di questa bella quercia è diventato Quercus frainetto. La quercia rovere ha dovuto scambiare il prestigioso nome di Quercus robur con la quercia farnia. Linneo nel nome robur aveva compreso entrambe le specie e ne aveva depositato un solo specimen d’erbario comprensivo di entrambe; poi le specie sono state divise e, dopo 200 anni, si trovò che lo specimen di erbario su cui Linneo aveva scritto Quercus robur era di farnia. Il nome specifico di molte specie è sylvaticus invece che silvaticus, ma ciò è consono al Codice che ammette l’uso delle grafie del latino medievale. Perché, tuttavia dei due endemismi dell’Etna, uno si scrive Genista aetnensis e l’altro Betula etnensis? Il nome dell’abete rosso che era Picea excelsa è stato trasformato in Picea abies con notevoli cause di confusione non tanto in materia di selvicoltura quanto in fitosociologia. Per conseguenza Sandro Pignatti nella prefazione della sua meritoria e meritevole Flora d’Italia giustamente afferma che il principio della priorità ha fatto molti guasti.
Un’ulteriore complicazione deriva dal modo con cui si vanno moltiplicando i nomi degli autori posti al seguito del nome delle nuove specie.
Non meraviglia che nella letteratura scientifica internazionale si stia diffondendo un certo ritorno ai nomi in lingua corrente; i nomi in lingua inglese sono ovviamente i più usati. Purtroppo nelle reciproche traduzioni inglese-italiano e viceversa non mancano sinonimie, omonimie e altre fonti di ambiguità. Il dizionarietto su “I Nomi delle Specie Forestali” pubblicato ad Arezzo dalla Compagnia delle Foreste ha cercato di evidenziare i punti principali.
In qualche settore industriale (per esempio quello del legno) i nomi in più lingue correnti di alcune specie sono codificati in seno a Norme UNI poi recepite sotto l’egida internazionale della ISO. Sarebbe stimolante ipotizzare un nomenclatore di valore giuridico non necessariamente per tutte le specie, ma per lo meno per quelle entità che hanno una rilevanza giuridica. Ci sarebbe molto su cui discutere.