È tempo di analisi, di bilanci e gli interrogativi si affollano nella prospettiva della riforma della politiche comuntarie. L’innovazione organizzativa in agricoltura e negli strumenti per la progettazione integrata territoriale non possono mancare all’appello. Per approfondire questi temi, la Rete Rurale Nazionale ha presentato lo studio dedicato a due strumenti che spesso sono erroneamente percepiti come l’uno l’evoluzione dell’altro: reti e distretti. Le reti in agricoltura sono un fenomeno emergente che incontra sovente il favore delle imprese, ma anche i distretti agricoli, dalla promulgazione della Legge di orientamento a oggi, non hanno mai conosciuto un momento di pausa.
I numeri del fenomeno distrettuale sono di un certo rilievo: oltre 70 i distretti riconosciuti nelle quattordici Regioni e nella Provincia Autonoma di Trento che hanno legiferato in materia. Circa un terzo di questi distretti è finalizzato a valorizzare nel loro insieme le produzioni del territorio, mentre la rimanente parte ha una più marcata specializzazione produttiva, che spazia dall’agroenergetico, all’ittico, al lattiero-caseario e al comparto zootecnico.
Il numero dei distretti riconosciuti non è un indicatore di maggior rilievo economico della distrettualità agricola in ciascuna Regione, perché le dimensioni geografiche ed economiche non sono né predeterminate, né omogenee, e vi sono distretti che interessano aree molto vaste. Comunque, i 20 distretti riconosciuti in Lombardia, uniti all’ampia articolazione di tipologie introdotte, ne fanno una delle Regioni che –in tempi recenti- più ha scommesso su questo strumento.
Infatti, se si punta l’attenzione sulle date, si scopre il dato forse più sorprendente della distrettualità agricola: l’evoluzione continua che essa ha avuto, fino a marcare un’accelerazione negli ultimi anni. Negli ultimi dodici mesi, diverse Regioni hanno messo in cantiere modifiche e aggiornamenti alle proprie leggi sulla base dell’esperienza acquisita e delle nuove opportunità: tra queste il Veneto, la Basilicata, il Lazio. Altre Regioni, come Marche e Campania stanno per varare la prima legge in materia e in varie Regioni sono stati riconosciuti una ventina di nuovi distretti.
A buon diritto, i distretti in agricoltura devono essere considerati un fenomeno nuovo e che mostra di sapersi rinnovare nel tempo, abbandonando il luogo comune che vede decadere strumenti “passati di moda”. Al contrario, la dialettica messa in atto da Stato e Regioni in questi anni indica la volontà e la capacità delle istituzioni di apprendere e di innovare, come mostra l’analisi proposta nel volume appena uscito.
Tale inquadramento del fenomeno distrettuale è proiettato nella prospettiva di riforma delle politiche europee per il prossimo periodo di programmazione 2014-2020.
La riforma che sta per essere varata presenta numerose novità dal punto di vista dell’impianto strategico e generale, oltre che di dotazione strumentale e lancia sfide non sempre facili da cogliere e tradurre in concreti percorsi operativi. Alla luce delle ipotizzate nuove regole di governance, lo Stato, le Regioni, l’insieme dei Partners, dovranno definire obiettivi e impegni nell’ambito del contratto di partenariato con la Commissione, tenendo presente che le regole di spesa renderanno più stringente la necessità di conseguire gli obiettivi dichiarati, pena la perdita effettiva di risorse.
Nel nuovo approccio strategico il livello locale torna a essere una scala di intervento assai rilevante in cui i caratteri della metodologia distrettuale trovano una nuova coerenza con quelli che animano il Quadro Strategico Comunitario definito per l’utilizzazione congiunta e coordinata di tutti i Fondi strutturali,
Le proposte di riforma, dunque, generano scenari che sono ancora in discussione a livello europeo e nazionale, ma in questo studio sono state l’occasione per riflettere su come i distretti in agricoltura nei prossimi anni potrebbero giocare un ruolo chiave nel quadro dei nuovi strumenti per sostenere l’innovazione, la cooperazione e lo sviluppo locale partecipativo, realizzato anche attraverso modelli plurifondo, ispirati alla metodologia LEADER.
E’ un’occasione interessante per le imprese agricole e per le aree rurali e certamente una sfida a innovare il modo di progettare il proprio futuro.