Gino Bartolommei Gioli, divenne Socio corrispondente dell’Accademia dei Georgofili dal maggio 1901, successivamente ordinario (1 febbraio 1903) e poi emerito (dal 10 gennaio 1926). Numerose furono le Memorie che egli presentò ai Georgofili sul tema dei territori africani e della loro attitudine ad essere trasformati in colonie agricole.
Aveva una grande esperienza e conoscenza di quei luoghi per avervi soggiornato a lungo e indagato ogni loro parte. Ne aveva minuziosamente studiato clima, territorio, usi, costumi, abitudini sociali e aspetti antropologici e in pochi anni si era pienamente convinto delle potenzialità del loro sviluppo economico. Gli scritti, sono riportati e pubblicati negli “Atti dei Georgofili”:
Le attitudini della colonia Eritrea all’agricoltura, 18 maggio 1902;
La colonizzazione agricola dell’Eritrea, 4 gennaio e 1 febbraio 1903;
La produzione frumentaria in Eritrea, 3 gennaio 1904.
Gli “sfortunati avvenimenti coloniali” che avevano segnato tragicamente la presenza italiana in Africa sul finire dell’Ottocento, tali da far dubitare della capacità e competenza della politica, dovevano essere superati da progetti di più ampio respiro la cui sola, imprescindibile garanzia, fosse la conoscenza a tutto raggio di quei paesi.
Bartolommei Gioli era venuto pertanto maturando l’idea di dar vita a Firenze ad un Istituto di alta formazione tecnico-scientifica. Il progetto presentato preliminarmente in una riunione privata a palazzo Bartolommei nell’aprile del 1904 (*), trovò la sede ufficiale per la sua esplicitazione nell’Accademia dei Georgofili, dove il 4 giugno 1905 Bartolommei Gioli poté finalmente presentare la Memoria Per la fondazione di un Istituto Agricolo Coloniale in Firenze (“Atti dei Georgofili”, 5 S., 2).
Il Nostro Accademico sottolineava in esordio che il fenomeno delle migrazioni aveva raggiunto in breve volger di anni livelli notevoli (in un decennio, dal 1893 i 240.000 emigrati erano passati a oltre 500.000); la statistica veniva in suo soccorso a dimostrare il progressivo, ingente spopolamento di vaste zone d’Italia che vedeva protagoniste per la massima parte le “classi campagnole”. Gli effetti in alcuni casi erano devastanti: il Meridione d’Italia in specie, registrava veri e propri casi di abbandono verso altri paesi di intere comunità. Fenomeno sottolineava Bartolommei Gioli destinato a non mutare tendenza forse per molti anni.
Coloro che in via temporanea o permanente avevano lasciato l’Italia erano fra i più poveri e disagiati, quasi tutti analfabeti e sovente avevano dato dimostrazione nei paesi di arrivo di comportamenti non corretti, avvalorando così i tanti negativi “giudizi di una severità veramente irragionevole” che oramai erano opinione diffusa un po' dovunque.
Non poteva più essere pertanto tollerato il disinteresse fin lì dimostrato “verso quelle vigorose propaggini” che ormai vivevano fuori dai confini d’Italia. Disinteresse di anni in larga parte da imputare alla incapacità del sistema politico, economico e sociale d’Italia di dotarsi di “dottrine” e “pratiche” della colonizzazione.
Era su questa riflessione, unitamente alla domanda concernente il tipo di contributo dato fino ad allora al fenomeno migratorio “dalle classi colte e dai ceti medi”, che Bartolommei Gioli fondava la sua proposta di dar vita all’Istituto agricolo coloniale.
Luogo deputato: Firenze, perché ancora vi si respiravano i gloriosi ricordi di un passato e perché ancora tangibili erano “i fastigi delle arti accumulati nell’esercizio secolare dei traffici e della mercatura”. Questa lunga tradizione costituiva il supporto indispensabile per la fondazione di un istituto coloniale, unico strumento per far uscire dal dilettantismo la politica coloniale italiana che fino a quel momento non era stata in grado di cogliere, valorizzare, potenziare ed investire nei territori d’Oltremare.
Firenze ancora perché ricca di Istituti di studio a carattere scientifico di alto livello (e fra questi l’Accademia dei Georgofili) a cui afferivano menti eccelse di possibili docenti; Firenze infine perché le sue scuole già avevano un patrimonio inestimabile di materiale botanico.
Inghilterra, Germania, Olanda, Belgio, Stati Uniti, valutando come imprescindibili i flussi migratori, erano stati in grado non solo di avviare le nuove generazioni verso lo studio scientifico dell’agricoltura coloniale, ma avevano dato vita nei propri orti botanici in patria e nelle colonie, a luoghi di sperimentazione altamente specializzata. L’Italia, pur vivacizzata da un certo fermento che aveva visto nascere ad Asmara un ufficio agricolo sperimentale, a Roma un Museo ed Erbario Coloniale, a Palermo un vero e proprio giardino coloniale in luogo di quello botanico, non aveva dimostrato finora di possedere una visione d’insieme della politica coloniale.
Perciò il nuovo Istituto si poneva come obiettivo quello di indirizzare e formare i giovani (già diplomati presso le scuole pratiche di agricoltura) verso lo studio dell’agricoltura dei climi tropicali e sub-tropicali; insegnamento e specializzazioni teorico-pratiche che nei due-tre anni di studio previsti, dovevano vertere su agricoltura e botanica coloniale, economia rurale e contabilità, patologia vegetale, tecnologia, zootecnia, igiene coloniale, geografia politica e commerciale, storia delle colonie, lingue estere. Quanto alla pratica, la scuola doveva dotarsi di terreni, serre, tepidari, laboratori, musei, dove sperimentare e conservare piante, oggetti e prodotti delle colonie.
Terminato il corso di studio, ai licenziati poteva essere concesso di fare un anno di pratica nelle colonie, di lavorare presso stazioni e giardini sperimentali o anche in aziende private.
Infine, le Camere di Commercio più floride potevano contribuire a sostenere con borse di studio la frequentazione della scuola e il mantenimento di quei giovani privi di mezzi provenienti da altre parti d’Italia.
(*) Alla riunione parteciparono numerosi Georgofili; per citarne alcuni: Carlo Ridolfi, Pietro Stefanelli, Napoleone Passerini, Riccardo Dalla Volta, Ferdinando Guicciardini, Pasquale Villari al quale venne affidata la presidenza della riunione e al quale i Georgofili qualche anno dopo (1908) intitoleranno un pubblico concorso avente a tema la “questione sociale del Mezzogiorno”
Foto: l'Istituto Agronomico dell'Oltremare oggi, a Firenze.