Alla domanda
“Qual è la sua paura più grande oggi?” la risposta di Massimiliano Fuksas ("Panorama", 21 novembre 2018, p. 70) è stata chiara: “Che mi cada in testa un platano sul Lungotevere”. Parole che impongono una profonda riflessione sul ruolo del verde urbano e sulla sua percezione da parte del cittadino.
In realtà gli alberi dei lungotevere sono piante maestose, autentici protagonisti tra i 330mila esemplari capitolini, ormai secolari, spettacolari in ogni stagione, destinati a ingentilire gli argini del fiume e, con i loro rami cadenti,
“velare il biancore sfacciato dei nuovi muraglioni”, sì da rappresentare una delle classiche immagini associate alla Città Eterna. Geometrie naturali che, con le loro foglie, i rami, i giochi di luce, il rumore del vento, offrono al cittadino e al turista scorci sempre diversi, in quella che originariamente era destinata a rappresentare la passeggiata dei romani nella neonata Capitale (salvo trasformarsi nel tempo in mero caotico asse di trasporto), ma anche protagoniste delle più iconiche scene del cinema moderno. Presenze fondamentali nel magico panorama tiberino, essenziali per i loro servizi ecosistemici, ma al tempo stesso oggetto di polemiche e fonte di preoccupazione, questi platani. Scarsità di personale, mezzi e risorse economiche; incuria, carenze di manutenzione e scelte tecniche imbarazzanti (come non ricordare l’asfaltatura che ha ricoperto il marciapiede sino al colletto?); ambiente ostile (traffico, condizioni pedologiche pessime e asfissia radicale in primo luogo); traumi e lesioni quotidiane di varia natura a fusto e radici: sono questi i principali fattori che rendono difficile la vita degli alberi urbani, in perenne stato di emergenza. A ciò si aggiunga un vero killer del platano, il microfungo fitopatogeno
Ceratocystis platani, agente del cosiddetto “cancro colorato”, il cui vettore fondamentale è … l’uomo con gli interventi di potatura con attrezzi infetti! La malattia è da tempo presente nei lungotevere e, nonostante sia tenuta sotto costante osservazione dal Servizio Fitosanitario Regionale, rischia di causare un’ecatombe in tempi rapidi.
Ma torniamo a Fuksas. La nota
archistar certamente conosce che la gran parte dei ponti costruiti in Italia tra gli anni ‘50 e ‘60 ha superato l’aspettativa di vita per la quale è stato progettato, per non parlare del fatto che si tratta di strutture ideate per sostenere un carico di traffico ben inferiore rispetto a quello attuale. Il recente dramma del viadotto Morandi a Genova è lì a testimoniare l’importanza del tema, ma i crolli ‘minori’ si contano a decine; in Italia ci sono ben un milione e mezzo di ponti, solo una minima parte dei quali sottoposti a un qualche programma di ispezione e manutenzione. Ma per Fuksas la paura maggiore sono i platani: si tratta, forse, di un altro esempio di “alberofobia italica” (
sensu Ferrini, vedi
http://www.georgofili.info/detail.aspx?id=9086), oppure, semplicemente di un approccio superficiale a un argomento complesso?
FOTO: Vincent van Gogh - Les grands platanes (Travailleurs de la route à Saint-Rémy) (1889), olio su tela, Cleveland Museum of Art.
Evidentemente i danni agli apparati radicali a seguito di disturbi antropici non sono un fenomeno recente!