I rimboschimenti di pino nero: risorsa o problema?

di Orazio La Marca
  • 12 December 2018
Il 27 novembre si è tenuta presso l’Accademia dei Georgofili una giornata di studio sul futuro dei rimboschimenti di Pino nero che in Italia interessano circa 136.000 ettari distribuiti in varia misura praticamente in tutte le Regioni. La Toscana secondo l’IFNC (2005) ne ha oltre 11.000 ettari mentre il primato spetta alla Calabria con quasi 40.000 ha.
Si tratta dei risultati di una vasta attività, finalizzata per lo più alla difesa idrogeologica di territori collinari e montani, iniziata dopo il primo conflitto mondiale e proseguita soprattutto dopo l’ultima guerra. Oggi questi boschi si concentrano per oltre i 2/3 nella fascia di età che, secondo la normativa vigente in Toscana, è matura per la rinnovazione.


Distribuzione dei rimboschimenti di pino per classi cronologiche (elaborazione da IFNC 2005)



Dalla ricca documentazione fotografica esposta durante la giornata di studio è emerso un quadro molto chiaro delle disastrose condizioni dei nostri boschi fino all’ultimo dopoguerra, stremati dai tagli per reperire legna da ardere e carbone per la cottura degli alimenti e per il riscaldamento, per attrezzature agricole, per impieghi artigianali, industriali etc.



Le due foto evidenziano l’esito del rimboschimento e della ricostituzione boschiva su circa 1200 ha a distanza di 60 anni.



Da un caso di studio esaminato è emerso che i consumi di legna per soddisfare le esigenze domestiche per la cottura degli alimenti e per il riscaldamento della popolazione residente alla fine degli anni ’50 del secolo scorso in un territorio montano, con circa 130.000 abitanti e 28.500 ha di boschi, superavano di gran lunga la crescita naturale del patrimonio forestale. Per effetto del reperimento di legna per gli usi domestici la vegetazione forestale era del tutto scomparsa in un raggio di diversi chilometri dai centri abitati.  La risultante fu un’inesorabile erosione della superficie boscata e un altrettanto inesorabile depauperamento della qualità intrinseca dei boschi. L’inversione di tendenza si ebbe per le migliorate condizioni economiche della popolazione, per la diffusione del gas in bombole per usi domestici, per la diminuita pressione dell’uomo sulle risorse naturali (leggi esodo delle popolazioni dai territori collinari e montani) ed anche per l’opera di rimboschimento e di ricostituzione boschiva messa in atto per porre un argine al dissesto idrogeologico.
 Provvidenziali furono le ingenti risorse economiche messe a disposizione del Governo, soprattutto per le zone svantaggiate in cui operava la Cassa per il Mezzogiorno.
Una delle specie più impiegate per questo scopo è stato il Pino nero principalmente per la sua rusticità, per il fatto che ben si coltiva in vivaio, per il facile attecchimento anche con piantine a radice nuda, per il rapido accrescimento subito dopo il trapianto, per le proprietà di miglioramento del suolo dovute all’abbondante lettiera, per le capacità produttive, per la sua plasticità in differenti condizioni ambientali.
I rimboschimenti realizzati soprattutto dopo la seconda guerra mondiale hanno rappresentato dapprima una risorsa per i prodotti legnosi che hanno fornito e per le opportunità di lavoro. Oggi, per una serie di concause che vanno dalla cronica carenza di viabilità in montagna, dalle difficili condizioni morfologiche di molti rimboschimenti, agli elevati costi delle utilizzazioni nel nostro Paese e, negli ultimi anni, anche alla crisi di mercato dei prodotti legnosi, in moltissimi casi rappresentano un problema. Ciò si verifica soprattutto perché dall’utilizzazione di una pineta adulta, nelle migliori condizioni geomorfologiche e con una buona viabilità normalmente è possibile ricavare non più delle risorse necessarie per il nuovo rimboschimento che la normativa italiana, pur in una variabilità di vincoli e prescrizioni che differiscono da Regione a Regione, impone.
In molti Paesi sono state avviate iniziative per la sostituzione dei rimboschimenti di conifere, una volta raggiunto lo stadio del declino biologico, con latifoglie autoctone, essenzialmente per ragioni ecologiche.
In Italia la rinaturalizzazione è prevista dall’art. 7 del TUF “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali”. In verità per le pinete di pino nero si parla di rinaturalizzazione da oltre 20 anni, con incertezze e ritardi sia per le carenze del trasferimento dei risultati della ricerca che delle normative regionali.
Gli obiettivi della rinaturalizzazione possono essere sintetizzati come segue:
-indirizzare i popolamenti verso una maggiore complessità compositiva e strutturale;
-favorire il ripristino dei processi naturali;
-accrescere la resistenza e la resilienza del sistema forestale agli stress ambientali;
- recuperare assortimenti legnosi e biomasse.
La rinaturalizzazione dei rimboschimenti di conifere rientra, sul piano disciplinare, tra le attività del restauro forestale (Mercurio, 2010).
Si tratta di scelte importanti che richiedono indirizzi programmatici, analisi tecniche delle condizioni bioecologiche e biodinamiche dei soprassuoli da porre in rinnovazione, risorse economiche e la consapevolezza che in molti casi si va incontro a sostituzioni di specie e a mutamenti, anche paesaggistici, che spesso presuppongono l’affermazione di formazioni forestali di interesse per lo più ecologico ma di scarso interesse economico.