Il mercato del cacao è un caso estremo di struttura a clessidra, con da un lato circa 5 milioni di piccoli coltivatori, in paesi in via di sviluppo, e dall’altro miliardi di consumatori finali. In mezzo, pochissimi enormi trader e trasformatori, che fanno sia semilavorati che prodotti finiti, spesso commercializzati sotto più marchi, accompagnati da centinaia / migliaia di piccoli trader, processor, e produttori di
grocery. La ICCO – Organizzazione Internazionale del Cacao dovrebbe favorire il dialogo tra le parti. Otto paesi su 61 rappresentano il 90% della produzione mondiale. Spiccano la Costa d’Avorio e il Ghana. Due i mercati di riferimento: Londra e New York. Sei processor, in Europa e USA, controllano il 70-75% della lavorazione. 10 brand occupano il 70% circa del mercato finale.
La Direttiva 2000/36/CE permette l’uso di grassi diversi dal burro di cacao per produrre cioccolata. La perdita dei produttori di cacao è incalcolabile. I consumi mondali nel 2016 valgono circa 123 miliardi di dollari, con in testa la Svizzera (8,8 kg), In Italia circa 3.8 – 4 kg a testa. Modestissimo il consumo cinese (100 g), ma si prevede una enorme crescita. In Europa e USA, si prevede l’espansione dei prodotti di qualità, monovarietali, con indicazioni geografiche, biologico e
fair trade.
La sostenibilità del settore è stata enfatizzata nella quarta Conferenza Mondiale del Cacao (Berlino 2018): miglioramento tecnico (rese più alte e stabili), minor impatto ambientale (meno deforestazione,
agro-forestry), eliminazione del lavoro minorile, migliore organizzazione dei produttori, maggiore acquisizione di valore. Le stesse multinazionali giocano oramai la carta della Corporate Social Responsibility.
Il testo è un abstract della relazione presentata dal Prof. Santucci (Università di Perugia) al Convegno su “Il cacao in Toscana”, che si è svolto all’Accademia dei Georgofili il 15 novembre 2018.