Qualche punto fermo sul rapporto tra cambiamenti climatici e agricoltura

di Luigi Cattivelli*
  • 04 September 2019

Tutti parlano di cambiamenti climatici e dei loro effetti in agricoltura, ma nel pubblico dibattito ognuno enfatizza un aspetto del problema ed è difficile coglierne l’insieme ed il loro impatto. Vediamo di mettere un po’ d’ordine nelle cose.
Il primo fattore, ed anche responsabile di tutti i cambiamenti climatici è l’innalzamento della CO2 atmosferica, una modifica principalmente dovuta all’attività umana, di portata enorme: basti pensare che siamo passati dalle 360 parti per milione di CO2 in atmosfera degli anni 60 ai 415 ppm di oggi, con una previsione ormai certa di raggiungere i 550 ppm alla metà del secolo.
L’aumento della CO2 avviene in modo identico in tutto il pianeta e ha di per sé un effetto fertilizzante sulle piante, molto significativo su specie come frumento o riso, quasi nullo su piante come il mais (una diversità di risposta dovuta alla diversa fisiologia delle specie).
Prove sperimentali realizzate in speciali sistemi che consentono di crescere le piante in condizioni di pieno campo innalzando la concentrazione di CO2 nell’aria che sta sopra le piante della prova, dimostrano che un frumento coltivato a 550 ppm di CO2 produce circa un 10% in più, ma con una diminuzione del contenuto di proteine e minerali (Ferro, Zinco). Tutto ciò, se non ci sono altri fattori limitanti come situazioni di carenza idrica.

Più CO2 porta, di conseguenza, a temperature mediamente più alte con numerose implicazioni sulla produzione agricola:
1. Le piante tendono ad accelerare il loro ciclo produttivo: se l’inverno è mite, il frumento anticipa la fioritura e se l’estate è molto calda, le uve maturano prima. Tradizionalmente, ottobre era il mese della vendemmia, ultimamente si inizia a raccogliere l’uva alla fine di agosto!
2. L’aumento della temperatura media si esprime anche attraverso ondate di calore che compromettono la crescita e la produzione delle piante. L’estate del 2003, una delle più calde di sempre, ha provocato enormi perdite produttive per i cereali ed altre colture.
3. L’innalzamento della temperatura media determina uno spostamento verso latitudini settentrionali delle specie coltivate, ad esempio oggi si coltiva con un certo successo la vite in Gran Bretagna.
4. Il cambiamento dei profili termici influenza l’evoluzione dei patogeni delle piante, e nuove razze di patogeni impongono nuove sfide alla gestione delle colture.

L’innalzamento della temperatura incrementa le necessità idriche delle piante ed in generale l’acqua che evapora dal suolo (e dagli specchi d’acqua). Una maggiore evaporazione è premessa di una maggiore piovosità, ma questo è vero solo su scala globale, così, mentre nell’Europa settentrionale ci si aspetta una maggiore piovosità, nella regione mediterranea, in particolare, i modelli climatici prevedono un aumento della temperatura associato ad una forte riduzione della piovosità. Per contrastare questa situazione è necessario da un lato migliorare i sistemi di gestione dell’acqua in agricoltura (nuovi bacini per accumulare l’acqua durante la stagione invernale, sistemi di irrigazione sempre più efficienti come l’irrigazione a goccia), dall’altro, invece, bisogna cambiare le piante per renderle idonee alle nuove condizioni climatiche.
L’insieme di questi cambiamenti ha già, ed avrà sempre più in futuro, un impatto sulla produzione agricola. Su scala globale, mantenendo inalterate le pratiche agronomiche e le piante coltivate (nessuna azione di miglioramento genetico), l’attesa è di una netta diminuzione della produzione agricola complessiva. Questo risultato tuttavia non sarà geograficamente omogeneo, per quanto detto sopra sono attesi aumenti produttivi delle aree settentrionali del pianeta e forti riduzioni nelle zone temperate o vicine ai tropici, ad esempio la regione del mediterraneo, con forti oscillazioni da anno a anno.
Una soluzione? Migliorare l’agricoltura ed adeguare le piante coltivate. Nel prossimo futuro continueremo a coltivare le stesse piante di oggi: frumento, pomodoro, fruttiferi, ecc. ma con varietà diverse. Già oggi si stanno selezionando varietà capaci di sfruttare meglio l’acqua disponibile, in grado di sincronizzare il loro ciclo vitale con i nuovi profili termici, sempre più resilienti, quindi capaci di produrre, nonostante la presenza di fattori avversi, e dotate di un numero sempre maggiore di resistenze genetiche, per poter essere coltivate con un utilizzo sempre più limitato di fitofarmaci. Una cosa è certa: per mangiare - e mangiare tutti - nel futuro che ci aspetta non potremo usare le varietà “antiche” selezionate un secolo fa per il clima ed i patogeni di quell’epoca.

* direttore CREA Genomica e Bioinformatica