La pandemia da coronavirus, che come uno tsunami ha investito il mondo intero, sta profondamente modificando gli stili di vita degli italiani ed è interessante rilevare come gli alimenti che sono stati più rapidamente e largamente acquistati sono quelli destinati a essere trasformati dalla cucina familiare che sta vivendo un inaspettato periodo di successo, peraltro tipico di tutti i periodi di depressione, ad esempio quando negli anni dell’immediato ultimo dopoguerra la richiesta era il pane oltre il lavoro.
Vi è ora da chiedersi se si tratta di una condizione che potrà scomparire con il ritorno a condizioni precedenti o se invece il futuro sarà diverso e con quali conseguenze anche sull’agricoltura italiana. Indubbiamente fare previsioni soprattutto economiche è il modo migliore per sbagliare, ma in una certa misura per cercare d’immaginare un possibile futuro e soprattutto di dirigerlo un aiuto può venire dall’antropologia, scienza ardimentosa che studia e considera i comportamenti umani nelle diverse condizioni sociali.
In condizioni di paura e soprattutto d’insicurezza l’antropologia insegna a non sottovalutare i consumi alimentari, ma considerarli e comprenderne il significato di sensibile termometro dell’inconscio individuale e collettivo perché il loro possesso e l’uso degli alimenti, al di fuori del semplice soddisfacimento nutrizionale, è un istintivo e importante rimedio a condizioni di incertezze e insicurezza. Acquistare, possedere cibo e ancora più trasformarlo in piatti identitari sviluppa fiducia e tranquillità – si dice anche che “a pancia piena si ragiona meglio” - così si spiega il ritorno al pane e la particolare propensione a una cucina cucinata e non semplice assemblaggio e riscaldamento di cibi preconfezionati.
In modo analogo diviene più chiaro che gli alimenti più richiesti sono quelli con particolari caratteri rassicuranti. Ovviamente tutti gli alimenti devono essere sicuri e cioè non avere caratteristiche negative per la salute umana nelle normali condizioni d’uso, ma vi sono alimenti che sono rassicuranti e cioè capaci di suscitare nei consumatori sentimenti e pensieri di sicurezza, anche come espressione di imprinting alimentari individuali ma soprattutto collettivi. Tra gli alimenti dotati di un potere rassicurante vi sono quelli dell’infanzia come il latte e i dolci e quelli che fanno riferimento alle tradizioni e ai territori d’origine, come le quasi trecento DOP e IGP italiane, gli oltre quattrocento vini DOP e IGP e i più di cinquemila Prodotti Tradizionali Italiani. Ugualmente rassicuranti sono i cibi preparati in casa, con le proprie mani, con metodi tradizionali o ritenuti tali. Tutte queste condizioni antropologiche stanno dando ragione dell’attuale successo del pane, della pasta e dei dolci fatti in casa che, anche se alcune volte non sono buoni come quelli artigianali e industriali ai quali si era abituati, hanno un forte potere rassicurante.
Passata la fase acuta della pandemia ora in atto si deve pensare che per un più o meno lungo periodo di tempo (mesi o anni?) una congiuntura economica recessiva cambierà le abitudini di spesa delle famiglie, non solo per le ragioni legate all’incertezza sul futuro e al calo del reddito disponibile, ma anche a seguito per un ripensamento più generale nelle scelte di consumo. Le crisi sono sempre state occasione di profondi rinnovamenti e anche questa volta sarà necessario considerare la necessità di uno stile di vita e di alimentazione più sostenibile, senza dimenticare il ruolo che hanno gli alimenti rassicuranti dei quali l’agricoltura italiana è un grande produttrice. In alimentazione avranno spazio gli alimenti più essenziali e rassicuranti, scartando il superfluo e privilegiando ciò che è indispensabile o che assicura benessere, salute e rassicura. Prevedibile è un ritorno alle preparazioni fatte in casa con riduzione delle merendine industriali, dell’acqua di fonte privilegiando le spremute casalinghe o artigianali rispetto alle bevande gassate, una avanzata dei rassicuranti prodotti legati al biologico, alla filiera corta e di maggiore freschezza, con una buona tenuta, se non espansione, dei prodotti DOP, IGP, tipici e con attenzione all’origine geografica. Non bisogna infatti sottovalutare che nel periodo pre-crisi i consumatori italiani erano attenti all’origine geografica degli alimenti nell’88% dei casi, superati solo dai greci (90%) mentre gli spagnoli si fermano al 66%, i tedeschi al 74%, i francesi al 75% e gli inglesi al 52%.
Anche nel futuro e in una condizione di recessione economica i comparti agrozootecnici e agroindustriali italiani, che a livello mondiale sono già in testa nelle produzioni a denominazione d’origine, considerando anche il loro potere rassicurante delle loro produzioni hanno tutte le possibilità di mantenere questo primato.