Nuove biotecnologie alternative: aspettative e dubbi

di Silviero Sansavini
  • 21 December 2016
Il mutato atteggiamento del Ministro Martina nei confronti delle biotecnologie “pulite” e alternative è stato salutato con sollievo e approvazione da tutta la stampa specializzata, ma soprattutto dal mondo della ricerca, che ritiene di poter rimettere finalmente in moto una serie di studi volti a superare gli attuali obiettivi del breeding tradizionale, con l’ottenimento di piante adatte alla sostenibilità ecologica dei metodi di coltivazione, alla biodiversità e al miglioramento delle caratteristiche qualitative dei frutti.
Le colture critiche, per noi arboricoltori, sono soprattutto la vite e il melo, ormai sottoposte a troppi e invadenti interventi chimici incompatibili con i nuovi principi agroambientali e di tutela della salute pubblica. I due strumenti ammessi, in alternativa alle tecniche OGM (secondo il piano finanziario di supporto alla ricerca formulato 
dal MIPAAF) sono la cisgenesi e il “genoma editing”.
Questo mio intervento, che si associa al plauso per l’auspicata svolta ministeriale, intende fare alcune realistiche considerazioni, relative all’applicazione delle due tecniche alle specie arboree da frutto e in generale a tutte le specie a propagazione agamica, aventi tutte in comune l’utilizzo di cloni che devono rimanere stabili nel tempo.
Dobbiamo distinguere però tra “cisgenesi” e “genome editing”. Mentre la prima tecnica è già stata applicata con successo alle specie arboree, il cui primo esempio fu il melo transgenico Gala (col gene omologo Hcr Vf2) di resistenza a ticchiolatura derivato da un programma delle Università di Bologna e Zurigo (Belfanti et al., 2004), poi portato a termine con l’intervento dell’Università di Wageningen (per l’eliminazione dei due geni selettivi eterologhi). Successivamente, la tecnologia della cisgenesi (cioè l’inserimento nella varietà da migliorare di un gene omologo di altra varietà o specie sessualmente compatibile) è stata migliorata sotto vari aspetti e se finora non si è diffusa è solo perché l’Unione Europea non ha voluto entrare nel merito, equiparando di fatto tale tecnica ad un OGM. Si spera perciò che l’atteggiamento possa mutare nel prossimo futuro, alla luce della casistica scientifica molto convincente, prodotta da numerosi istituti di ricerca nel mondo.
Per il “genoma editing” invece, la tecnica descritta semplicisticamente come metodo “taglia-cuci di singoli nucleotidi”, al fine di introdurre mutazioni in geni responsabili dei caratteri di cui si vuole la modifica richiede qualche precisazione. Fra queste mutazioni indotte, ma invisibili nella metodologia seguita, ci potrebbe essere il gene di suscettibilità all’oidio nella vite.
In generale, questa tecnica non presenta grandi difficoltà nelle colture cerealicole e sementiere perché risulta tecnicamente fattibile, in queste piante, l’introduzione del gene della proteina CAS9 e dell’RNA guida, così come la successiva eliminazione del “costrutto” usato per veicolare questi geni nella cellula (processo analogo a quello utilizzato per le piante GM). Per togliere i geni alieni basta infatti escluderli attraverso il processo selettivo del seme dopo l’incrocio. 
La stessa operazione, passando attraverso un successivo incrocio, porterebbe alla perdita del genotipo della varietà di pianta arborea usata nella sperimentazione. Altra possibilità risiede nella messa a punto di un protocollo con costrutti eterologhi, che si “autoescludano” alla fine del processo; infine, un’altra via percorribile potrebbe essere anche quella dell’iniezione diretta della proteina CAS9 e dell’RNA guida in cellule somatiche (da escludere quindi quelle embrionali). In tal caso si verrebbe ad operare su protoplasti. Ma per quanto si conosce anche dalla letteratura, questa via, durante il difficile percorso della rigenerazione, andrà facilmente soggetta a variazioni somaclonali incontrollabili. 
Il problema, in ogni caso, è molto complesso; occorrerà tempo per sperimentare e mettere a punto un metodo sicuro, perché oltre ad essere alternativo alla tecnologia OGM, dovrà preservare comunque l’identità genetico - fenotipica delle varietà da “mutare”.