Mentre l’umanità attonita ancora si interroga sul futuro della pandemia e sulle conseguenze che essa sta producendo in campo sanitario ed economico, oltre che in tanti altri ambiti meno evidenti che al momento intuiamo appena, la vita procede e non può essere altrimenti.
Nel 2019, giusto in questo periodo dell’anno, ci eravamo lasciati con alcuni interrogativi che ora quasi abbiamo dimenticato. I temi più assillanti erano la Brexit, i nuovi assetti politici dell’Ue dopo le elezioni del Parlamento Europeo (PE), i confusi orientamenti politici nei Paesi membri, l’esplosione delle rozze guerre commerciali a colpi di dazi e ritorsioni dopo decenni di pax commerciale gestita dal Gatt e dalla Wto. Il Pil mondiale era in ripresa anche se iniziava a mostrare qualche piccolo segno di rallentamento.
Quantum mutata ab illa la situazione, verrebbe voglia di dire e nello stesso tempo, invece, quanto è cambiata la prospettiva in cui questi problemi si collocano. Ma il trascorrere del tempo costringe ad andare avanti, affrontando scadenze e trovando soluzioni.
Consideriamo le questioni europee: un primo inestricabile groviglio si presentava allora, con la Gran Bretagna impegnata a trovare la soluzione per la sua uscita dall’Ue e quest’ultima, francamente, paralizzata dall’evento “impossibile”, al punto da essere a mala pena previsto nei Trattati. L’uscita della Gran Bretagna destinata a cambiare gli equilibri politici ed economici interni si è sovrapposta alle elezioni con le incertezze provocate dal crescente sovranismo all’interno dell’Ue. Una compagine costruita baldanzosamente all’insegna dell’opposto e cioè un (incerto) sovra nazionalismo. Ma al di là dell’amara rottura chiarificatrice di un sogno ambiguamente spinto all’estremo come quello di un’Europa Unita, non solo commercialmente, c’erano e ci sono i normali interessi quotidiani. Gli inglesi escono e cambiano gli equilibri economici interni. Le risorse finanziarie europee calano e le spese vanno ripartite in modo diverso. Era alle porte il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (QFC), e lo è ancora oggi, mentre cambiano anche le priorità da soddisfare. Mentre allora si trattava di quelli che ci sembrano aggiustamenti, oggi ci rendiamo conto che il mondo è cambiato a causa della pandemia. La politica economica passa dalle lotte sulle percentuali di scostamento della spesa e dalle discussioni sul piano di stabilità, al più massiccio progetto di indebitamento finanziario che si ricordi, affrontato con un’insospettabile tranquillità.
La nuova Politica Agricola Comune (Pac) per il settennio 2021/2017, che la Commissione uscente aveva lasciato in bozza è ferma, in attesa del QFC valido per lo stesso periodo. La saggezza dell’Ue, accusata di essere carente di fantasia, li aveva correttamente abbinati, ma gli imprevisti li hanno separati e le follie di un virus sconosciuto sino al giorno prima li ha sconvolti. In questo contesto però le regole della Pac devono esistere e funzionare, perché nelle campagne l’integrazione europea è andata avanti. L’agricoltura italiana ed europea ha retto l’impatto della COVID-19 anche e soprattutto perché c’era la Pac. Agricoltura e Sanità hanno funzionato. Le neo nominate Istituzioni europee hanno trovato la capacità a fine 2019 di prorogare per un anno le regole in essere, compresi gli stanziamenti. Ma ora si pone il problema del futuro. Ebbene, lo scorso 30 giugno, nell’ultimo Consiglio Europeo sotto presidenza di turno croata, si è raggiunto un accordo per una proroga di altri due anni per dare tempo di ridisegnare una Pac per il futuro che tenga conto di quanto è avvenuto in questo 2020. Rimangono inalterate le regole ed anche le norme finanziarie, per attendere l’accordo maggiore del QFC e valutare i problemi di finanziamento dell’intero bilancio comunitario. Ha funzionato lo strano meccanismo di dialogo, il trilogo, fra PE, Commissione e Consiglio europeo e finalmente si è costruito un primo punto di ancoraggio per un Sistema, quello europeo, che sembrava alla deriva. Ancora una volta la soluzione concreta che l’agricoltura per necessità impone ha aperto la strada al resto della costruzione europea.
L’augurio più sincero è che questi due anni non vengano sprecati in inutili discussioni, quelle che hanno ridotto l’interesse degli Europei per il più grande esperimento politico-economico mai realizzato in tempi moderni. Che anche l’agricoltura, sia pure in logiche abbastanza oscure di un vago Green Deal, preoccupante se inteso in senso integralistico, partecipi al grande sforzo di ripresa e di rilancio che l’Ue deve affrontare e che i popoli europei esigono.
È vero, il rinvio è un compromesso, con i limiti che ciò implica, ma ricordiamoci che il compito richiede saggezza e lungimiranza e che la nostra agricoltura ha grandi potenzialità che spesso diamo l’impressione di dimenticare. Delude, in questo senso, ed è di incerto auspicio, lo scarso o nullo interesse dei mezzi di informazione di fronte a questo passo concreto, magari poco fotogenico, ma molto pratico.
In breve, lotta al virus va bene, anzi benissimo, ma anche a quel virus oscurantista che mina la crescita e il sereno sviluppo della nostra agricoltura, altrimenti dopo la pandemia dal passato più remoto sarà in agguato la carestia, sia pure in versione moderna, ma per questo ancora più difficile da sopportare.