Elaiogastronomia: l’arte culinaria associata alla conoscenza degli oli extra vergine di oliva e del loro corretto abbinamento con le pietanze

di Maria Lisa Clodoveo
  • 16 October 2019

Il piatto è un progetto e i diversi ingredienti, che sono gli elementi strutturali, sapientemente dosati e magistralmente combinati, devono determinare quell’armonia di forme, colori profumi e sapori in grado di stupire il commensale conducendolo in un istantaneo viaggio emozionale che parte dai ricordi evocati dall’olfatto e proietta nel futuro di sapori mai provati prima.
La tavola è piacere. Mangiare è una necessità. Probabilmente è l’istinto di conservazione insito in ogni uomo a generare l’insieme di risposte-reazioni a livello neurofisiologico che mettono in atto comportamenti finalizzati a salvaguardare la sopravvivenza attraverso l’assunzione di cibo. E poiché mangiare è un "atto psicofisico" che coinvolge simultaneamente i sensi, i recettori periferici e la corteccia cerebrale, e la sfera psicologica dei ricordi e dei desideri, l’avventura enogastronomica assumerà tanto più valore quanto maggiormente sarà in grado di generare un’esperienza sinestetica, cioè una dimensione sensoriale/percettiva determinata da una "contaminazione" dei sensi.
Uno degli ingredienti con il potere di trasformare il consumo di una pietanza in una esperienza capace, attraverso i sensi, di generare emozioni è proprio l’olio extra vergine di oliva di alta qualità, emblema della dieta mediterranea e “profumo alimentare” capace di generare un nuovo approccio al turismo gastronomico.
L’Italia è famosa nel mondo per la ricchezza gastronomica, e il turismo basato sull’esplorazione della cultura del cibo può fregiarsi, solo in Italia, di più di 500 diverse cultivar di olivo differenti che possono generare, a seconda dei territori, delle pratiche agronomiche, dell’epoca di raccolta e delle tecnologie di trasformazione, una gamma pressoché infinita di aromi e sapori idonei  a soddisfare i palati più esigenti, assecondando o accentuando un determinato gusto, o creando la giusta contrapposizione di sapori, quando si desidera bilanciarne uno troppo intenso.
L’elaiogastronomia rappresenta la possibilità di degustare un piatto, o un intero menù, capovolgendo il semplice paradigma dell’olio abbinato alla pietanza e creando ricette “elaiocentriche” che da un lato siano in grado di offrire combinazioni autentiche e identitarie di un territorio (molte ricette hanno alle spalle tradizioni centenarie e dovrebbero essere condite esclusivamente con olio da cultivar tipiche del territorio), dall’altro che rappresentino una palestra di gusto e cultura capace non solo di offrire al protagonista del convivio la soddisfazione dei sensi, ma anche di creare, attraverso l’intrattenimento, una cultura di prodotto e una corrispondente catena di valore nella filiera olivicolo-olearia.
L’elaiogastronomia si sta affacciando al mercato della ristorazione offrendo un nuovo segmento di consumo e favorendo la nascita di professionalità nuove, tanto nella brigata di cucina quanto in quella di sala.
Vivere una esperienza elaiogastronomica richiede formazione oltre che un investimento economico, da parte del ristoratore, nella creazione della carta degli oli che necessità dell’acquisto dei migliori oli nel panorama olivicolo nazionale e internazionale.
La carta degli oli, però, deve mantenere tutte le finalità delle altre carte presenti nella ristorazione. Da un lato ogni carta è di per sé uno strumento di vendita, pertanto occorre una rivoluzione nella modalità di presentazione del prodotto tale da far accettare al commensale una nuova voce di spesa nel conto. Dall’altro la carta, con le sue promesse di diversificare le percezioni visive, olfattive e gustative, rappresenta una promessa che il ristoratore deve essere in grado di mantenere. Bisogna ricordare infatti che l’olio è vivo e si trasforma, soprattutto se la bottiglia viene aperta e conservata in condizioni non idonee. Se la carta degli oli declama profumi di erba appena tagliata, carciofo o pomodoro, l’unico modo per garantire che la promessa, anzi il contratto, sia mantenuto è aprire la bottiglia, di piccole dimensioni, alla presenza del cliente servendo l’olio in sala (non aggiungendolo in cucina) e consentendo al consumatore di godere la dimensione edonistica generata dalle centinaia di composti volatili che si liberano al contatto tra l’olio e l pietanza tiepida. La nube di aromi che si genera è preludio e annuncio del gusto che si percepirà all’assaggio.
Il carrello dell’olio con decine di bottiglie aperte da tempo è la premessa del fallimento dell’elaiogastronomia perché offre una gamma di prodotti poco differenziati, ossidati ed alterati.
Agli scettici che non credono che si possa vendere l’olio al ristorante, generando l’equo valore lungo la filiera, in grado di assicurare il giusto reddito a produttori e frantoiani, dovremmo rispondere che trenta anni fa, quando l’acqua si serviva nella brocca, nessuno avrebbe mai creduto di poter vedere, nel conto, il prezzo della bottiglia di acqua minerale. L’olio è davvero un potente elemento in grado di trasformare un piatto banale in una pietanza capace di generare l’acquolina in bocca. Torniamo con la memoria al momento in cui (ognuno di noi l’ha vissuto) abbiamo aggiunto l’olio nuovo ad un piatto di legumi invernale. Ecco! È proprio quella sensazione che vale la pena di provare, rifiutandosi di aggiungere un olio qualunque da una oliera anonima e pretendendo, al ristorante, un olio di alta qualità da una bottiglia con tappo antirabbocco ed etichetta.