Si susseguono i colpi di scena in quella che ormai viene chiamata la guerra dei dazi. All’inizio di settembre sono entrati in vigore nuovi inasprimenti dei dazi imposti dagli US ad un insieme di merci cinesi che vale 300 miliardi di dollari dopo quelli decisi negli scorsi mesi. Puntuale è arrivata la risposta della Cina su due fronti: a) un ricorso formale alla Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio che ha preso il posto del Gatt al termine del negoziato dell’Uruguay Round, per la violazione da parte degli US delle regole vigenti, b) contromisure cinesi nei confronti di merci statunitensi per un valore equivalente.
È una vera guerra e non una gara da seguire, come si fa per le competizioni sportive. In gioco vi è il futuro dell’economia mondiale. La sua crescita, dopo la buona ripresa del 2017 trainata dai paesi sviluppati, prima ha rallentato ed ora, almeno in Europa, è quasi in stallo. La violenta guerra dei dazi, con l’imposizione in apparenza casuale, ma in realtà mirata, di barriere tariffarie riduce il volume degli scambi e deprime il prodotto lordo mondiale. Per dirla in linguaggio giornalistico sta rendendo tutti più poveri. È una guerra vera e non virtuale che, al pari di ogni altra, non lascia sul terreno vinti e vincitori perché tutti ne escono sconfitti, come la teoria e la realtà economica insegnano.
Il successo dell’ultimo grande negoziato Gatt nel 1994 a cui parteciparono, aderendovi, quasi tutti i paesi del mondo, e la trasformazione del Gatt nella Wto hanno segnato il canto del cigno del primo, la svogliata nascita della seconda e, forse, la fine dell’era degli Accordi multilaterali. L’avvio stentato della Wto, minato anche dalla crisi mondiale, ha aperto la strada allo scatenarsi di nuovi egoismi che sembravano scomparsi e invece covavano sotto la cenere dell’apparente consenso. In politica il fenomeno si accompagna al confuso ritorno del sovranismo in molti paesi e in vasti strati di popolazione, quelli che, complice la crisi, sono rimasti indietro e non hanno beneficiato dei vantaggi dell’apertura degli scambi.
La comparsa di leader come Trump va vista anche in quest’ottica e non può essere sottovalutata considerandola una tipologia caratteriale individuale. Si è aperta una modalità di svolgere le trattative che è bilaterale e vede il propagarsi di “duelli” fra paesi per imporre le proprie regole, al contrario della faticosa modalità multilaterale del Gatt/Wto che le estendeva a tutti i contraenti su basi di parità. Così facendo si torna alla legge del più forte, dal consenso negoziato si precipita nell’imposizione subita.
La questione non si limita solo ai dazi, che sono la barriera più semplice e facile: presto riporterà a galla anche altre barriere ben più subdole e pericolose per gli scambi, quelle non tariffarie imposte senza giustificazione oggettiva. I dazi sono una difesa passiva, che non supera i problemi di competitività dei sistemi economici. Possono essere legittimamente contrastati con contromisure immediatamente operative che riducono o eliminano i vantaggi iniziali.
Ma i danni al sistema economico mondiale non sono circoscritti agli importi dei dazi ed ai loro effetti diretti. Quanto è accaduto fra luglio e agosto, incluso l’inconcludente G7 di Biarritz, ne è la prova.
La frenata della ripresa economica, la riduzione del vantaggio derivante dalle esportazioni, ad esempio per un paese come l’Italia che conta su di esse per la ripresa, blocca la crescita del Pil. Le previsioni sul prodotto industriale del terzo trimestre negli US sono negative. La Germania chiude a zero lo scorso trimestre. Le difficoltà si trasmettono ai mercati finanziari e rendono nuovamente necessarie misure di sostegno come il Quantitative easing nella Ue e anche negli US. Il tutto poi colpisce il mercato dei cambi e se ne ha prova nella svalutazione dello Yuan cinese e in quella dell’euro nei confronti del dollaro, aprendo nuovi terreni di scontro di ampiezza imprevedibile.
Si impone un’attenta riflessione sul tema della multilateralità e delle politiche commerciali. Una soluzione, ad esempio, può essere trovata col ripescaggio e la conclusione dei numerosi accordi fra le grandi aree mondiali accantonati troppo in fretta perché riaprano la via del negoziato e del buon senso fra le parti abbandonando le battaglie muscolari sui dazi.
Occorre potenziare, anziché contrastare a priori, questo tipo di soluzione che richiede più pazienza e meno esibizioni di forza, maggiore acume e minor consenso immediato, ma risultati migliori poi.