La reclusione domiciliare di questi mesi mi ha permesso di intensificare l’attività di aggiornamento tecnico-scientifico sui possibili collegamenti fra zootecnia, gas serra e riscaldamento globale e, ultimamente, sulla possibile responsabilità del particolato PM10 nei riguardi della diffusione del Coronavirus. E ciò che emerge dalla letteratura mi spinge ad alcune considerazioni, non proprio ottimistiche sul nostro futuro.
Per quanto riguarda i gas serra, un po’ tutti gli osservatori hanno registrato, a seguito del cosiddetto lockdown quasi globale, la diminuzione in atmosfera dei gas biossido di azoto (NO2), prodotto soprattutto dai motori a combustione interna ad alta temperatura, e della anidride carbonica (CO2), anch’essa prodotta prevalentemente dalla utilizzazione dei combustibili fossili nell’industria e nei trasporti. Tutto ciò è stato registrato dai satelliti NASA e Sentinel 5P sia in Cina nella regione di Wuhan, che in Europa. Non si hanno ancora dati certi, ma si parla di un 5-10% di diminuzione.
Vincent Henri Peuch, direttore del Servizio di Monitoraggio Atmosferico “Copernico”, ha scritto: “non credo che possiamo dire che queste diminuzioni siano determinanti nel lungo termine. Piuttosto, dal momento che l’inquinamento atmosferico influenza negativamente la salute dell’apparato cardio-polmonare, avere meno inquinamento in questo momento di diffusione del virus non può essere altro che una buona cosa”. Facciamo nostre queste parole, nel senso che, intanto, meglio poco di niente.
Per quanto riguarda, invece, la correlazione fra concentrazione di polveri sottili e particelle aerosol e diffusione di virus, non tutti sono d’accordo. Comunque sia, una diminuzione anche di questo tipo di inquinamento, originato prevalentemente dal traffico veicolare, è un’altra buona notizia in questo momento, in vista del ritorno alla normalità.
Il già citato Peuch ci avverte sul fatto che “la lezione che avremo imparato una volta che la crisi Covid-19 sarà alle nostre spalle sarà estremamente importante per ripensare al problema dell’inquinamento atmosferico globale. Sfortunatamente il cambiamento climatico sarà ancora un problema da affrontare perché non sarà stato per niente cambiato dalla attuale crisi”.
Le produzioni animali, tanto per citare una delle attività dell’uomo, finalizzate a produrre alimenti di elevato valore biologico, contribuiscono al rilascio in atmosfera di gas serra per circa il 14% del totale di origine antropica (FAO e IPCC). Lo spargimento dei liquami, contribuisce alla formazione di particolato PM10 per meno del 12%, laddove si pratica, secondo i dati ISPRA. Si tratta di contributi importanti, ma quantitativamente minoritari. Ed è possibile fare molto per abbatterli.
Secondo una stima FAO, limitatamente alle attività legate alle produzioni animali, l’America Latina è la zona geografica che produce più gas serra: circa il 29% del totale. Seguono la Cina con il 18%, l’America del Nord con l’11%, l’Europa con il 10% e l’Africa Subsahariana con il 7%. Sempre lo stesso studio stima che, con opportuni accorgimenti per limitare la deforestazione e migliorare la gestione dei pascoli, l’alimentazione e la genetica, è possibile abbattere le emissioni di gas serra fino al 40% in Africa Subsahariana, fino al 30% in America Latina e Cina e fino al 15% in America del Nord ed Europa. Qualcosa si può fare.
Come sarà il dopo Covid-19? Dipende da noi, ovviamente. Gli scienziati ci danno ancora circa 10 anni prima della catastrofe climatica globale. Sarà necessario rinunciare a tante comodità, dal traffico privato ai trasporti su gomma, allo spreco di energia elettrica e alimentare, ai lunghi viaggi in aereo per vacanze di sogno.
La lezione della pandemia ci consiglia questo. Ce la faremo?