A lezione di tutela ambientale, forestale e agroalimentare

di Marina Bizzotto*
  • 04 November 2020

Presso il Centro di Eccellenza per le Stability Police Units (CoESPU) di Vicenza, nato dopo l’accorpamento del Corpo Forestale dello Stato con l’Arma dei Carabinieri, è stata istituita una Cattedra di “Polizia per la Tutela Ambientale, Forestale e Agroalimentare”.   La nuova disciplina ha arricchito ulteriormente l’offerta formativa del Centro, che svolge attività formativa addestrativa a favore di personale di polizia, civile e militare, proveniente da ogni continente.
L’attività della Cattedra si estrinseca nella predisposizione, formulazione e somministrazione di lezioni di “consapevolezza ambientale” durante i diversi corsi che hanno luogo al CoESPU, rispettando e applicando i principi dell’andragogia. La didattica si arricchisce e si integra con una parallela e costante analisi della dottrina e dei suoi sviluppi in materia ambientale che possono poi diventare oggetto di divulgazione.
Lo studio delle politiche ambientali consente innanzitutto di capire quali indirizzi le organizzazioni internazionali considerino prioritari e strategici: si fa riferimento in primis alle Nazioni Unite che, nell’ultimo decennio, hanno saputo elevare qualitativamente in maniera esemplare la propria performance ambientale. Dalla situazione di fine millennio scorso, nella quale l’impronta ambientale della complessa macchina delle Nazioni Unite produceva un inquinamento annuo pari a quello della città di Londra, sono stati fatti consistenti passi avanti.
Nel codice di condotta dei “caschi blu” (forze internazionali di pace delle NU) è stata inserita la regola che recita: “Mostra rispetto e promuovi l’ambiente – compresa flora e fauna- del Paese che ti ospita”. Frase semplice ma ricca di significato, il “mostrare rispetto” è la traduzione del basico principio “Do no harm”, non fare danni. Il “promuovere”conferisce invece all’azione delle forze ONU una valenza di ben più ampio respiro: promuovere significa infatti rendersi protagonisti di un atteggiamento proattivo, ponendo in essere concrete azioni di tutela e salvaguardia dell’ambiente.
L’evoluzione, in seno alle Nazioni Unite e alle sue articolazioni, è assolutamente singolare e di valore: dalla priorità individuata nella mitigazione dell’impatto e nella diminuzione dell’inquinamento creato da ogni attività condotta (dal Palazzo di Vetro alle basi di Missione nelle aree più remote e fragili del globo) il concetto è stato ulteriormente elaborato: l’ambiente richiede ad ogni operatore di essere responsabile delle sue azioni e delle conseguenze derivate, coinvolgendo direttamente quindi anche la sfera personale oltre a quella professionale.
Non è più sufficiente infatti limitarsi a difendere la Natura, non è sufficiente limitare lo sfruttamento delle risorse naturali e preservare gli ecosistemi. Serve un passo ulteriore. Si tratta della necessità di salvaguardare l’ambiente di vita delle comunità locali. Di rendere l’ambiente più sicuro per la sopravvivenza delle popolazioni che vi abitano e che vivono ogni giorno le difficoltà di Paesi con problemi di stabilità delle istituzioni, di garantire l’accesso all’acqua potabile e alla produzione di cibo per la sussistenza in contesti agricoli e colturali spesso fortemente degradati.
La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza (ONU n. 1625, 2005) sulla prevenzione dei conflitti ha riconosciuto il legame che mette in diretta relazione di causalità il controllo della gestione delle risorse naturali con i conflitti armati: diamanti, petrolio, legname sono le risorse più spesso coinvolte, essendo beni di alto valore, così come tensioni civili sono spesso dovute al controllo delle risorse indispensabili come acqua, suolo e cibo.
“È quindi necessario indirizzare correttamente le risorse naturali come parte obbligatoria in un percorso di pacificazione, per evitare nuove forme di insofferenza e conseguire una pace più stabile, robusta e resiliente a fenomeni di ricaduta dei conflitti. È necessario adottare strategie di gestione delle risorse naturali che permettano di creare lavoro, sostenere i mezzi di sussistenza e contribuire alla ricostruzione economica e alla riconciliazione” recita la Risoluzione, che a distanza di 15 anni è ancora di grandissima attualità. La qualità dell’ambiente, da variabile legata ad una sensibilità del singolo operatore, diventa così una costante in ogni operazione di pace, una parte integrante e decisiva nel processo di stabilizzazione di Paesi che vivono realtà di post-conflitto o comunque di instabilità politica interna. Ecco il salto di qualità concettuale: dal considerare l’ambiente come “argomento” tra tanti al prendere coscienza che l’ambiente è argomento trasversale, integrato nel processo decisionale così come nell’approntamento  tattico.
Un ulteriore filone di studio è costituito dalla correlazione tra la presenza di NSAG (Non State Armed Groups) e il controllo della gestione delle risorse fondamentali come acqua e suolo. Si è rilevato che in zone di guerra o in fase di post-conflitto, in caso di presenza di gruppi terroristici, questi esercitano una forma di potere attraverso il controllo e la distribuzione dei beni primari. Queste strategie rendono comunità già molto provate ancora più fragili, terreno fertile dove il proselitismo porta facilmente all’estremismo e alla radicalizzazione. L’ambiente e le sue ricche connessioni – e la conseguente necessità di prendersi carico di una corretta gestione – stanno assumendo via via sempre più importanza nelle politiche e nelle procedure delle Nazioni Unite così come per l’Unione Europea e, a cascata, per gli Stati membri.
La preservazione dell’ambiente si rivela sempre più questione trasversale: dall’arricchimento della dottrina alla sua applicazione sul piano operativo, si rende ovunque sempre più necessario occuparci con la dovuta professionalità della nostra casa comune.

* Tenente Colonnello dei Carabinieri Forestali


FOTO: Environmental training course tenuto per la polizia e i ranger del Rwanda