Fauna selvatica e predatori, impatti e pratiche di contenimento

di Nicola Lucifero
  • 28 September 2016
Afferma un adagio cinese, coniato senz’altro per altri tempi ed altri problemi: “se non puoi eliminarli, impara a conviverci”. Sembra essere questa la strada presa dal legislatore, nazionale e regionale, rispetto all’annosa questione dei danni da fauna selvatica in agricoltura, infatti, anziché attuare interventi decisi e risolutivi predilige l’inerzia trasmettendo sull’agricoltore gli oneri della prevenzione e i rischi dell’attività di impresa. 
Il tema dei danni da fauna selvatica in agricoltura conserva nel tempo una costante attualità segnato, da un lato, dall’incremento del numero e della varietà dei danni anche a fronte di una diversificazione delle specie animali che li determinano, dall’altro dal dibattito sempre acceso sia presso gli organi amministrativi che presso gli organi giurisdizionali. Si tratta di un fenomeno la cui rilevanza, per quanto da tempo ben nota, non trova una definizione efficace al punto che figura in crescente aumento con impatti significativi nella stragrande maggioranza del territorio nazionale sull’attività economica delle imprese agricole (sia alle colture, all’attività zootecnica e alla silvicoltura) e che pone concreti problemi nella prospettiva della prevenzione del suo danno e del conseguente ristoro. 
Il problema è, per certi versi, prima di tutto giuridico, in quanto reso tale dagli interessi rilevanti che vi convergono (di stampo ambientale, economico, o affini all’esercizio venatorio, e alla tutela della proprietà e della pubblica sicurezza), dalle fonti normative che a vario livello regolamentano il sistema delle tutele differenziate destinate alla fauna, nonché dalle difficoltà concrete di controllare l’azione di animali che per loro natura agiscono liberamente allo stato naturale. 
Se la legge 157/92 (e prima ancora la l. 98/1977) è nata, su impulso delle politiche ambientali, proponendo una gestione della caccia con l’obbiettivo di gestire l’equilibrio faunistico, ossia un numero di specie sul territorio tale da non contrastare con l’attività agricola e con la conservazione delle altre specie, fattori di ordine diverso, sociale, economico e naturale, hanno nel corso degli ultimi decenni messo in crisi l’operatività della legge al punto che oggi il danneggiamento delle colture da parte della fauna selvatica rappresenta una costante e una criticità insita al sistema, apparentemente non più in grado di soddisfare la finalità dettata dal legislatore relativa all’equilibrio faunistico sul territorio. 
Tra i diversi interventi normativi a livello regionale, molti dei quali passati sotto la falcidia della Corte Costituzionale chiamata a regolamentare il conflitto di competenze tra Stato e Regioni, la legge obbiettivo della Regione Toscana n. 10 del 9.2.2016 rappresenta senza alcun dubbio lo strumento più concreto, ancorché privo di un disegno unitario per la “gestione delle specie” e con alcune difficoltà di stampo operativo, per tentare di garantire l’equilibrio faunistico sul territorio regionale. 
Pur nella consapevolezza della gravità del problema, nel panorama degli interventi normativi regionali si riscontrano approcci di stampo diverso per lo più segnati da interventi finanziari a sostenere gli agricoltori per la realizzazione di opere di prevenzione oppure destinati a garantire gli indennizzi. In verità, questa prospettiva risulta essere limitata e poco efficace, mentre si ritiene preferibile optare per una “gestione della fauna selvatica” sulla base di un approccio preventivo caratterizzato da una corretta pianificazione faunistica e il contenimento delle specie in eccesso e così salvaguardare contemporaneamente la fauna e il contesto territoriale. In questa prospettiva il prelievo venatorio assume un significato ben più ampio e complesso di attività di protezione della fauna e dell’ambiente naturale, ove posta in essere nei limiti definiti dalla legge, con l’obbiettivo particolare di essere uno strumento dell’equilibrio faunistico e di conservazione degli habitat. Il regime di gestione richiede una visione di insieme del problema e quindi di considerare la fauna selvatica presente sul territorio di riferimento, sotto il profilo sia delle diversità delle specie sia della loro quantità, e si basa su una efficace attività di monitoraggio e una costante verifica degli effetti della gestione sulla vitalità e diversità delle popolazioni animali in modo da favorire una interazione equilibrata fra tutte le diverse componenti naturali e umane presenti sul territorio. 
Questa soluzione, più ardua ma certamente più efficace, che richiede un approccio di sistema a livello nazionale, potrebbe essere affidata anche ai privati e perseguibile attraverso l’attività dell’impresa agricola che consentirebbe agli agricoltori presenti sul territorio di essere i soggetti chiamati a esercitare, previa autorizzazione amministrativa e in conformità alle disposizioni normative in merito ai limiti di tempo, spazio, specie e mezzi, l’attività di contenimento della fauna selvatica e assicurando al contempo l’immissione della selvaggina sul mercato attraverso una sicura e trasparente filiera alimentare che allo stato non risulta del tutto regolamentata soprattutto nella sua fase iniziale, ossia quella dell’immissione del prodotto nel mercato, con evidenti lacune anche in termini di tracciabilità del prodotto. Si tratterebbe di una prospettiva non lontana da quella di altre attività con rilevanti punti di contatto sotto il profilo del “prelievo”, e degli interessi correlati (ossia quello della tutela ambientale della specie e dell’interesse privato), nonché della commercializzazione del prodotto (i.e. l’alimento) sul mercato. 
Nella prospettiva delineata non sembra convincente il metodo da ultimo evidenziato dalle recenti proposte di legge parlamentare dettate per il contenimento di una specie piuttosto che di una altra perché ritenuta a priori più dannosa, in quanto le conseguenze non garantirebbero un corretto equilibrio faunistico ma, in senso contrario, potrebbero determinare l’effetto di mettere in pericolo l’esistenza di una specie o di non garantire la conservazione della biodiversità. Ovviamente l’obbiettivo suggerito richiederebbe una modifica della legge speciale vigente (l. 157/92), avvicinando in tal modo il nostro paese al sistema normativo degli altri Stati membri circa l’esercizio dell’attività venatoria, senza pregiudicare il regime di protezione delle specie. 
Certamente la definizione del problema della prevenzione dei danni da fauna selvatica può trovare altre soluzioni rispetto a quelle prospettate, ma così facendo si rischia di perdere di vista il nocciolo del problema che invece richiede di considerare nella sua interezza la questione della gestione della fauna selvatica sul territorio nazionale in modo da coniugare la difesa di una componente dell’ambiente e l’interesse privato in una prospettiva diversa, forse più complessa, ma paradossalmente più funzionale a garantire un ordine che è naturale e sociale contemporaneamente. 


Wildlife and predators, impact and containment practices
There is a Chinese saying, undoubtedly coined for other times and problems, that says, “if you cannot eliminate them, learn to live with them”. This seems to be the resolve taken by national and regional legislators as regards the age-old problem of wildlife damage to agriculture. In fact, instead of implementing straight-forward and conclusive actions, inaction has been preferred, passing the burden of prevention and business risks on to farmers. The theme of wildlife damage to agriculture is always topical with, on the one hand, the damage increasing in both quantity and type, even with the spread of the animal species causing the damage.  On the other hand, there is the never-ending debate with both administrative boards and the courts. It is a phenomenon whose importance, although long well-known, has not been effectively defined. Consequently, its impact on a farm’s economic activity (as regards crops, livestock, and forestry) is growing significantly throughout the greater part of the country and poses real problems as regards damage prevention and subsequent restoration.