I boschi invecchiano. Per che cosa? Per il meglio. Speriamo.

di Giovanni Bernetti
  • 13 July 2016
A quanto pare in Italia  il  disboscamento e  la degradazione dei boschi, sono pericoli scongiurati. 
Nel 1985 l’Inventario Forestale riportò 6.140.000 ettari di bosco e  al 2005 il nuovo Inventario ne riporta: 8.759.000.  Poiché i rimboschimenti  non si fanno quasi più, l’aumento  va attribuito alla diffusione spontanea nei terreni ritirati dall’agricoltura e dalla pastorizia. Il rimboschimento per impianto  si faceva con i soldi delle tasse mentre, invece, il costo  sociale del  rimboschimento naturale sta negli inconvenienti strategici ed economici  che derivano dalla dipendenza alimentare dall’estero. 
Un altro aspetto è quello dello stato di invecchiamento dei boschi alla data dei rilievi pubblicati nel 2005. Nell’ambito dei boschi cedui  quelli invecchiati in età non più adatte ad una soddisfacente rinnovazione per polloni  coprivano  il 33% della superficie.  Fra le fustaie coetanee, il 35% era occupato da popolamenti  stramaturi  (cioè non più facili da trattare in vista della rinnovazione naturale); infine,  fra gli “altri boschi di alto fusto” risultò invecchiato il 30%. Poiché i boschi posti in rinnovazione sono oramai molto pochi, l’età media  è destinata ad aumentare. 
 In conclusione,  in Italia 1.942.000 ettari di boschi cedui e di alto fusto formavano la categoria dei boschi a selvicoltura abbandonata intendendo con questo, i boschi che non si prestano più all’applicazione di  uno dei  sistemi selvicolturali ordinari a meno di investire in operazioni  colturali di ripristino.   L’abbondante retrovia (60%) dei boschi classificati adulti e maturi e l’esigua percentuale (10%) dei popolamenti in rinnovazione recente rivelano eloquentemente che la classe dei boschi a coltura abbandonata è destinata ad aumentare. 
Lo stato di sotto-gestione dei  boschi in Italia è la conseguenza  della diffusione  prodotti non legnosi sostitutivi, dello spopolamento rurale, e dell’assenza di mano d’opera. Non meraviglia, quindi, che intervenga anche  la caduta dello spirito imprenditoriale da parte dei proprietari privati e degli enti pubblici proprietari dei boschi. 
In compenso, il vistoso consolidamento dei boschi in termini di superficie e di consistenza, potrebbe far sperare  in una riduzione dei disastri idrogeologici comunemente attribuiti al disboscamento.  Purtroppo, però, le frane e le alluvioni  si ripetono  ancora e non sono  poche.  E  sembrano legate, non solo al cambiamento del regime delle piogge, ma anche al poco spazio lasciato al fiume nell’attraversamento delle città, nell’assiepamento di casa e villette sulle pendici e  sugli errori nella costruzione delle strade e dei ponti. L’esempio è il Torrente Bisagno che raccoglie le sua acque in un bacino pieno di case e di strade per poi finire ingozzato fra i palazzi della città. 
La fede sull’influenza idrogeologica dei boschi rischia, dunque,  di essere ridimensionata tanto che si potrebbe pensare ad un alleggerimento dei vincoli e ad una politica di aperto incoraggiamento della selvicoltura produttiva. Per superare il pericolo  la moderna normativa forestale considera il valore del bosco non in funzione di questa o quella particolare utilità, ma per sé stesso ed in sé stesso  indissolubilmente legato come è alle forme di vita del nostro pianeta ed alla qualità della nostra stessa esistenza. Per conseguenza le Regioni approfittano dell’assoluta mancanza di interesse e di reazioni dei proprietari per aggravare sempre di più  prescrizioni di vincolo.
Attesa l’importanza che si dà al bosco e visto che con la severità delle prescrizioni si tende a annullarne il reddito (o quello che ne rimane) tanto vale confiscare anche la proprietà e dare ad un bene indissolubilmente legato alla vita nel nostro pianeta  una destinazione demaniale nel senso stretto della parola. Ma non c’è alcun bisogno di confiscare, perché nei boschi si fa nulla o poco; inoltre lo Stato ci rimetterebbe perché il reddito agrario deve comunque figurare sulla denuncia dei redditi.   
E’ difficile prevedere se ci sarà o non ci sarà un ritorno alla produzione. Se l’opulenza consentirà di seguitare a rinunciare alle risorse produttive e commerciali di un terzo del nostro territorio tanto meglio. Vorrà dire che a lungo non si saprà se parlare di carabinieri oppure di guardie o di badanti forestali. 

 
Forests are growing older. For what reason? For the best, let us hope.
It seems that the dangers of deforestation and forest degradation have been averted in Italy.
The 1985 Forestry Inventory recorded 6,140,000 hectares of forests; the new 2005 inventory reports 8,759,000. As reforestation is very rare, the increase must be due to the spontaneous dissemination on the lands formerly used for farming or as pastures.
 The large amount (60%) of forests classified as “adult and mature” and the small percentage (10%) of recently renewed populations eloquently show that the category of abandoned forests is bound to grow.
The state of forest under-management in Italy is the consequence of the widespread distribution of non-wood products, rural depopulation, and the lack of labor. It is then not surprising that there should also be a drop in the entrepreneurial spirit of private owners and the public bodies that own forests.