Gestione dei boschi: razionale o sostenibile?

di Giovanni Bernetti
  • 18 February 2015
Si denuncia da più parti la fine della selvicoltura intesa nel modo tradizionale, che sarebbe la tecnica e la scienza applicate alla cura dei boschi  con lo scopo congiunto della soddisfazione del reddito del proprietario e della soddisfazione delle  utilità pubbliche.  
Originariamente era ovvio che il reddito privato e le pubbliche utilità dovessero essere conciliati mediante vincoli e relative prescrizioni formulate in modo razionale:  non tutti i boschi erano vincolati e per quelli che lo erano vigevano le Prescrizioni di Massima che mantenevano il rispetto per il reddito del proprietario e per le scelte imprenditoriali,  salvo situazioni speciali. 
Ora, al posto della parola razionale è entrata di moda la parola sostenibile che si accompagna all’imposizione di vincoli basati su presupposti ideologici.  La moderna normativa forestale, dunque, considera il valore del bosco non in funzione di questa o quella particolare utilità, ma per sé stesso ed in sé stesso  indissolubilmente legato come è  [il bosco] alle forme di vita del nostro pianeta ed alla qualità della nostra stessa esistenza.  A questo punto non resterebbe che confiscare tutti boschi in quanto beni demaniali che solo lo Stato può possedere. Invece, ci si limita a confiscare il reddito imponendo ai possessori modi di raccolta del legno che risultano economicamente impraticabili. Sarebbe ingiusto dare la colpa  di tutto questo alle élite colturali, alle associazioni  ambientaliste e ai professori al seguito.  Il fatto notorio  è che il diffuso benessere ha comportato lo spopolamento della montagna, il rifiuto di un lavoro svantaggiato come quello del boscaiolo e il disinteresse dei proprietari privati o enti pubblici che siano.Non meraviglia se su tutto questo vuoto si sono insediate ideologie ed esigenze più astratte.  
Ma l’opulenza genera l’imprevidenza. Un terzo della superficie nazionale pari a 10 milioni di ettari è sottratto alla produzione di beni materiali. Affidare all’importazione dall’estero una gran parte del fabbisogno dei prodotti della terra, legno compreso, non è la migliore strategia per conservare la prosperità. 
Se, come e quando potrà risolversi l’attuale  regime di sotto-gestione dei boschi è difficile da prevedere. Ci sono, nondimeno, due prospettive. La prima sta nella tendenza di enti pubblici che sono proprietari di boschi a stipulare contratti di gestione congiunta con imprese di utilizzazione boschiva. La seconda prospettiva sta nell’alleviare il lavoro del boscaiolo con i miglioramenti della meccanizzazione forestale al punto che si possa tagliare, sramare e depezzare  un albero senza scendere dal trattore. Si tratta, in sostanza di due risvolti di un medesimo fenomeno economico: imprese più capitalizzate e meglio organizzate entrano nella struttura del mercato degli alberi in piedi al posto dei tradizionali piccoli operatori di villaggio. 
Ovviamente questi indizi non sono ancora sufficienti per prevedere il ritorno ad un attivo mercato del legno di produzione nazionale.  
Il ritorno all’uso dei boschi dopo un lungo periodo di sotto-gestione comporterebbe indubbiamente dei problemi tecnici da affrontare. (a) Riesame del vincolo paesaggistico e del  vincolo forestale. (b) Necessità di strade forestali. (c) Questioni di dimensione e forma delle tagliate. (d) Problemi di rinnovazione anche in relazione ai danni della fauna selvatica. (e) Riconversione dei cedui invecchiati.  Comunque  un 20-30% della superficie forestale resterebbe all’attuale stato di abbandono a causa dell’accidentalità o della povertà del terreno. Chi vorrà ritornare ai vincoli imposti e gestiti in modo razionale avrà il suo da fare. 
 


Forest management: rational or sustainable?

It is difficult to predict if, how, and when the current system of under-managing forests will be resolved. There are, however, two prospects. The first is the trend for government agencies that are forest owners to contract for joint management with forest utilization businesses. The second possibility is to reduce the logger’s labor with improvements in forestry mechanization such that a tree can be cut, limbed, and bucked without leaving the tractor. Essentially, they are two aspects of the same economic phenomenon: better organized, more capitalized companies entering the standing-tree market instead of the traditional small-town operators.
Obviously the signs are not yet sufficient to predict a return to an active, domestically produced timber market. The return to using forests after a long period of under-management would undoubtedly lead to addressing the resulting technical problems.