Piante officinali ed aromi nella storia dei popoli

L’articolo è tratto dalla relazione svolta il 9 ottobre 2014 nella Giornata di Studio, organizzata dalla Sezione Centro-Ovest dell’Accademia dei Georgofili, su “Le piante officinali e aromatiche”, presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa

di Paolo Emilio Tomei
  • 22 October 2014
In passato con il termine “farmaco” si intendeva tutto ciò che fosse in grado di far guarire; potevano essere sostanze vegetali, animali, minerali o scongiuri, formule magiche, amuleti, ecc., l’essenziale era sfuggire alla morte. Questo portò alla nascita di numerose pratiche fantasiose che solo oggi possono dirsi quasi del tutto abbandonate. A proposito dei vegetali molto nota è la teoria delle “segnature”, che legava l’efficacia medicamentosa della pianta alla sua forma esteriore; Hepatica nobilis (FOTO), perché ha le foglie lobate con la pagina inferiore rosso vinaccia, si pensava fosse utile per curare il fegato, e così via. Naturalmente nell’ambito di queste congerie di multiformi credenze ed informazioni la “ragione”, man mano, riusciva a comprendere ciò che oggettivamente poteva essere di utilità al malato.
Nel mondo mediterraneo le più antiche informazioni sull’uso di piante come farmaci sono legate agli Egizi, ma anche presso le genti del Tigri e dell’Eufrate, gli Indiani ed i popoli  dell’estremo oriente è ben documentato l’uso delle erbe officinali.
Nell’antichità classica è in Grecia che prende forma l’arte del guarire; Ippocrate (V sec. a.C.) ne fu il principale artefice. Dal mondo greco l’impiego delle specie vegetali nella terapia passò a quello romano, dove l’erboristeria era ritenuta una scienza. Dioscoride (I sec. d.C.) nella sua “materia medica” tratta ben 600 semplici diversi, per lo più di natura vegetale.
I rizotomi raccoglievano piante e ne erano esperti, ma per tramandare il loro sapere nacque l’esigenza di avere dei libri, dove compaiono illustrate le diverse specie, per poterle riconoscere. Si dice che Crateva, medico di Mitridate VI re del Ponto (II-I sec. a. C.), sia stato il primo ad dipingere le piante. Si cominciò a compilare gli erbolari che, insieme ad i trattati, permisero il transito delle conoscenze dal Medioevo al Rinascimento. In Italia si sviluppò la moderna scienza botanica; a Pisa ed a Padova nascono i primi orti dei semplici universitari.
Con la scoperta dell’America giunsero nel vecchio mondo numerose nuove piante, e si appresero le conoscenze mediche degli Aztechi e di altri amerindi. La sperimentazione di nuove specie aumentò e comparvero numerose piante miracolose; Nicotiana tabacum sembrava in grado di guarire tutti i mali.
Ma l’uso dei vegetali è di prassi anche in cucina, ed ecco che numerose specie aromatiche erano ab antiquo adoperate nei cibi anche come aperitive, digestive, purgative, ecc.; siamo di fronte al germe della moderna nutraceutica.
Le migliaia di informazioni che, con il trascorrere del tempo, si sono sedimentate nella cultura dei popoli, costituiscono oggi un patrimonio di notevole valore; è a partire da questo che la moderna ricerca si muove per discernere ciò che di vero può essere nascosto in questo atavico lavoro, per proiettarsi poi verso le attuali realtà della scienza.