Caldo, salute e produttività dei lavoratori agricoli

di Marco Morabito
  • 14 February 2018
Il caldo è un problema a scala mondiale. Secondo un recente lavoro pubblicato sulla rivista “Nature Climate Change” (Mora et al., 2017) gli autori hanno stimato che la popolazione attualmente esposta a condizioni particolarmente critiche da caldo, per almeno 20 giorni l’anno, è di circa il 30%. Tale percentuale è purtroppo destinata ad aumentare nel corso di questo secolo anche se le emissioni di gas serra tenderanno a ridursi. Nella migliore delle ipotesi, per la fine del secolo, circa metà della popolazione mondiale sarà esposta a condizioni particolarmente critiche da caldo, con scenari ancor più drammatici se le emissioni continueranno ad aumentare. I lavoratori, per tutta una serie di motivi facilmente intuibili, sono tra i soggetti più vulnerabili al caldo, con effetti diretti sulla salute e conseguentemente sulla loro produttività, quindi con un importante impatto economico. Il settore agricolo, per le esposizioni prolungate all’aperto e l’intensità di lavoro fisico che richiede, è sicuramente uno dei settori lavorativi più sensibili. Nel 2016, in Toscana, gli infortuni in agricoltura sono stati poco oltre il 6% tra tutti gli infortuni sul lavoro (rispetto al 5.6% della media nazionale) con i valori più elevati sulle province di Siena, Arezzo, Grosseto e Firenze, che insieme rappresentano circa il 70% di tutti gli infortuni in agricoltura in Toscana. E’ da considerare, inoltre, che i lavoratori agricoli, per effettuare determinate mansioni, devono indossare specifici indumenti protettivi che, limitandone la dispersione del calore, aggravano ulteriormente lo stress da caldo. Un altro fattore che aumenta la vulnerabilità dei lavorati al caldo è rappresentato dall’età media dei lavoratori, stimata in progressivo aumento nei prossimi anni: per il 2030, in Italia, la forza lavoro con età tra 55 e 64 anni, sarà di circa il 26%, uno dei valori più alti d’Europa. Dalla letteratura scientifica è noto che gli effetti del caldo aumentano proprio all’aumentare dell’età a causa soprattutto della maggior presenza di patologie e del conseguente utilizzo di farmaci, alcuni dei quali interferiscono con il sistema di termoregolazione, rendendo il soggetto ancor più vulnerabile. Se poi consideriamo che, per effetto del cambiamento climatico, il nostro paese è interessato da una maggior frequenza e intensità delle ondate di calore, come dimostrato da un recente studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista Atmosphere (Morabito et al., 2017), è facilmente comprensibile come siano indispensabili strategie di adattamento e soluzioni tecnologiche innovative mirate a migliorare la resilienza dei lavoratori agli effetti del caldo.
E’ proprio su questi aspetti che si inserisce il Progetto Europeo (H2020) Heat-Shield “Integrated inter-sector framework to increase the thermal resilience of European workers in the context of global warming” (https://www.heat-shield.eu/), in cui i ricercatori dell’Istituto di Biometeorologia (IBIMET) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dell’Università (Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente – DISPAA), insieme a esperti del Centro Regionale Infortuni e Malattie Professionali (CeRIMP) della Regione Toscana, stanno lavorando allo sviluppo di un sistema con previsioni probabilistiche personalizzate a medio-lungo termine (fino a 46 giorni) relativamente agli effetti del caldo indirizzato ai lavoratori e datori di lavoro. L’obiettivo è quello di salvaguardare la salute del lavoratore e conseguentemente la sua produttività. Nell’ambito di questo progetto, a partire dalla scorsa estate sono iniziate delle campagne di monitoraggi fisiologici su alcuni lavoratori e microclimatici in alcune aziende agricole del settore vitivinicolo e della coltivazione degli agrumi in serra, con l’obiettivo di studiare gli effetti del caldo sui lavoratori, testando anche soluzioni tecnologiche innovative come le “smart clothing solutions”, ossia delle giacche ventilate utilizzate per dare refrigerio ai lavoratori durante attività fisiche intense  svolte in condizioni di stress da caldo. E’ inoltre previsto lo sviluppo di un sistema di allerta da caldo basato sul modello di previsione meteorologica probabilistico Europeo (ECMWF) calibrato su varie località Europee (una quarantina italiane e 5 località toscane) e sul calcolo del principale indicatore per la valutazione dello stress da caldo utilizzato dalle principali organizzazioni internazionali che si occupano di salute sui lavoratori, ossia il Wet Bulb Globe Temperature (WBGT). Tale indice rappresenta anche il riferimento della norma UNI EN ISO 7243 (2017) che regolamenta la valutazione dello stress da caldo nei luoghi di lavoro. La grande potenzialità di questo indicatore è quella di permettere una valutazione dello stress termico considerando sia luoghi in ombra o esposti alla radiazione solare o fonti di calore artificiali, tenendo conto di fattori come l’acclimatazione, l’intensità dello sforzo fisico e gli indumenti indossati durante l’attività lavorativa. Il sistema previsionale, che ha funzionato in via sperimentale durante l’estate del 2017, diventerà operativo a partire dalla prossima estate e permetterà agli utenti, attraverso registrazione su apposita piattaforma web (accessibile anche da dispositivi mobile), di ricevere tramite mail previsioni personalizzate del rischio da caldo comprendenti anche linee guida comportamentali su come contrastarne gli effetti, ad es. quanto riposare e quanto bere durante l’attività lavorativa in funzione dell’attività fisica svolta e dell’abbigliamento indossato. Il sistema di allerta, che in Toscana fornirà previsioni sulle località di Firenze, Arezzo, Grosseto, Pisa e Argentario, permetterà una maggiore informazione per i lavoratori e una pianificazione più accurata per i datori di lavoro che potranno gestire al meglio, sulla base delle condizioni di caldo previste fino a 46 giorni, i periodi più idonei in cui svolgere specifiche attività lavorative, turni e orari di lavoro più adeguati per preservare al salute dei lavoratori e riducendone la perdita di produttività.