Prodotti agricoli come nuove fonti energetiche rinnovabili

di Giuliano Mosca e Martina Boschiero
  • 12 October 2011
Oltre a generare ex novo delle risorse primarie da trasformare in energie rinnovabili, si deve provvedere all’impiego per questo scopo di rifiuti organici, residui di potatura, residui colturali, sottoprodotti di scarto e altro ancora,  in modo da garantire al cittadino in via primaria la loro eliminazione e secondariamente generare in modo virtuoso della bioenergia. Si verrebbe così a coniugare il dettato europeo che va sotto il termine di sostenibilità, con il contributo offerto dal settore primario, a parziale compensazione del fabbisogno di energia.
Dopo una breve panoramica a scala europea ed internazionale sul consumo energetico e sulla produzione di energie rinnovabili, in un contesto di particolare complessità, e dopo aver discusso le principali colture cosiddette di prima generazione, destinabili alla produzione di biocarburanti, è opportuno porre l’accento sulle colture che sono state ultimamente oggetto di attenzione da parte della ricerca, come Jatropha sp., Arundo donax (la canna comune, FOTO), Mischantus sp., rutabaga e altre ancora.
Sembra però che per poter realizzare il cosiddetto “green dream” si debbano concretizzare i risultati di alcune recenti scoperte, a fronte di alcune criticità che restano ancora da superare. Considerati i vari input richiesti da soia, colza, girasole, mais, canna da zucchero, barbabietola, biomasse in genere, si evince che per tali colture i bilanci energetici risultano positivi a fianco della diversa capacità di sequestrare CO2, in rapporto ai criteri di sostenibilità imposti dalla Direttiva Europea 2009/29/CEE.
La ricerca è rivolta quindi a colture che abbisognano di limitati input, pur producendo elevate rese, e verso lo sfruttamento anche di zone marginali o naturalizzate, difficilmente destinabili a colture da reddito. Alcuni esempi concreti sono rappresentati dall’ utilizzo dei residui colturali di barbabietola e di sottoprodotti animali (lipidi), destinabili sempre alla produzione di biocarburanti. Alla luce di tali considerazioni si ha l’impressione che il settore delle coltivazioni erbacee da pieno campo avrebbe potuto offrire il suo contributo già fin dall’inizio degli anni 2000 e che in questa fase l’ulteriore sviluppo delle bioenergie sia prevalentemente legato a scelte di politica economica non sempre chiare.
Inoltre la riduzione della CO2 in atmosfera passa attraverso un incremento della sostanza organica del terreno, non solo come forma di riduzione di input chimici, ma soprattutto come effetto carbon sink che rappresenta la vera scommessa del sistema agricolo per il prossimo futuro.

(Foto: www.cooltropicalplants.com)