La società dei microbi: dal proto-linguaggio ai comportamenti collettivi

Il testo è la lettura svolta dal prof. Nuti lo scorso 15 settembre, in occasione del compimento dei suoi 50 anni dedicati alla microbiologia agraria

di Marco Nuti
  • 20 September 2017
Per 300 anni dopo la descrizione dei morfotipi batterici ad opera di A. van Leeuwenhoeck (1673), si è creduto che i microorganismi formassero un mondo di individui muti e sordi. Ma a partire dagli anni ’70 del secolo scorso si è compreso che così non è. I microbi hanno sviluppato, nel corso della loro storia evolutiva, sistemi sofisticati di comunicazione a base di “parole” chimiche (il quorum sensing e l’ anti-quorum sensing, i fattori Myc di micorrizazione delle piante nei funghi micorrizogeni, i fattori Nod di nodulazione delle leguminose nei Rizobi sono forse i più noti) che consentono di parlare tra di loro e con gli organismi superiori, piante ed animali. Qualche autore già azzarda a usare i termini di “linguaggi” e “dialetti” che comprendono, oltre allo scambio di “parole” chimiche, l’emissione di sostanze volatili, la produzione di onde sonore, l’emissione di luci e colori. Siamo appena agli albori della decifrazione di tutti questi complessi sistemi di comunicazione, ma appare già chiaro che i linguaggi usati dai microbi, cioè sia l’emissione che la percezione di segnali anche a distanza, sono sotto stretto controllo genetico. Per alcuni batteri è stato possibile dimostrare che la produzione, il rilascio e la percezione delle molecole-segnale (definite come elementi di un “vocabolario” chimico) vengono utilizzati per misurare la densità della popolazione che cresce e per controllare il suo comportamento in risposta alle variazioni del numero degli individui e alle variazioni degli stimoli ambientali. E sono diversi i casi dimostrati nei quali il linguaggio è utilizzato per determinare il comportamento degli individui all’interno e all’esterno di una popolazione. Lo scambio di informazioni tra cellule e cellule non si limita a favorire, ad esempio, la formazione di spore (B. subtilis) o a tenere a debita distanza di sicurezza le cellule viciniori potenzialmente inibitorie della crescita (E.coli), ma si spinge fino a determinare i comportamenti collettivi di una comunità: la produzione di polisaccaridi nella formazione di un biofilm, la produzione di peptidi, in popolazioni di attinobatteri (Streptomyces caelicolor e S. tendae), che si accumulano extracellularmente durante la formazione d micelio aereo servendo così da surfattanti per facilitare il rilascio di ife aeree nascenti dal micelio da substrato. 
Purtroppo Abele e Caino, Romolo e Remo sono soltanto gli epigoni di comportamenti fratricidi già presenti nella società dei microbi. Alcuni membri di una popolazione geneticamente omogenea possono infatti uccidere altri membri della stessa popolazione (il cannibalismo in B. subtilis e l’ allolisi in Streptococcus pneumoniae). Ma la capacità di 
alcuni batteri di percepire la presenza di altri organismi simili viene decisamente surclassata dalla capacità di “sentire” ed individuare le cellule target nell’ospite eucariota da parte di Enterococcus faecalis (la subunità piccola della citolisina per monitorare la densità batterica e la subunità grande per monitorare la presenza di cellule target e causare l’endocardite infettiva). 
All’opposto, ci sono molti più comportamenti collettivi di commensalismo e di cooperazione. Basti pensare ai granuli di kefir (latte etero-fermentato) ove cooperano più di 10 ceppi microbici diversi, ai consorzi microbici della produzione del biogas, del vino, del formaggio, del compost. Nella rizosfera di una pianta vi sono mediamente 109 microrganismi, nell’intestino umano 1.000-10.000 volte di più. In un terreno con 3-4% di sostanza organica vi possono essere 100 milioni di cellule microbiche attive, che si moltiplicano e che svolgono in sequenza, in gruppi fisiologici distinti, le reazioni tipiche dei cicli biogeochimici. La biodiversità funzionale di questi gruppi garantisce che, ove l’attività di una più specie per una ragione qualsiasi venga silenziata, altre specie la mutuano e la funzione continua ad essere svolta. E’ facilmente intuibile l’enorme quantità di segnali scambiati per mantenere questi equilibri dinamici di intere popolazioni. 
Una congerie dunque di molecole-segnale di piccole e grandi dimensioni, d’induttori e repressori di attività biochimiche, di attivatori e repressori dell’espressione genica nei propri simili e attraverso la cosiddetta barriera tra i procarioti ed eucarioti, popola il denso mondo dei microbi dei quali il 98% almeno è utile o indispensabile per la continuazione della vita su questa terra, per la produzione di derrate alimentari e per la salute dell’ambiente. Il 2% del microbiota è o può diventare dannoso per la salute del genere umano, degli animali, delle piante. Bisogna continuare a scavare quanto ancora ci è ignoto nel modo di comunicare dei microbi e portarlo alla luce. E forse scopriremo, decifrando tutte le parole del loro vastissimo vocabolario che la società dei microbi può portare ancora utilissimi insegnamenti per la società degli umani. In fondo, loro sono venuti prima di noi su questa terra.