Davvero sono insostenibili i vecchi organismi transgenici di metà anni ’90?

  • 16 March 2016
Pubblichiamo la lettera aperta inviata al Ministro Maurizio Martina dal Presidente A.M.I. (Associazione Maiscoltori Italiani), Marco Aurelio Pasti

Davvero sono insostenibili i vecchi organismi transgenici di metà anni ’90?
Signor Ministro a più riprese lei ha parlato di Genome Editing e Cisgenesi come nuove tecniche in cui spingere e finanziare la ricerca italiana. Certamente è una notizia positiva e segna decisamente un punto di svolta nel panorama politico se pensiamo che le aperture alla Cisgenesi fatte nel 2007 dal suo predecessore Paolo De Castro avevano suscitato le ire della Coldiretti e tutto si era fermato con la manifestazione di piazza di luglio di quell’anno a Bologna. Tuttavia non mi risultano evidenti i motivi che la portano a definire insostenibile la transgenesi con cui erano stati prodotti i “vecchi OGM degli anni ‘90”.
L’Unico OGM approvato per la coltivazione in Europa è un tipo di mais resistente alla piralide, il Mon 810, ottenuto inserendo un gene batterico nel genoma del mais. Un organismo transgenico dunque, per il quale il governo italiano ha recentemente chiesto l’esclusione dalla coltivazione di tutto il territorio italiano. Non mi è chiaro se lei ritenga insostenibile la tecnica utilizzata per produrlo o il prodotto di questa tecnica cioè il mais resistente alla piralide. A 20 anni dall’immissione nel mercato di questo mais non sono comparsi insetti di piralide resistenti, il gene è stabilmente inserito nel genoma e trasferibile tramite incrocio, non sono stati riportati casi di tossicità per animali o consumatori e non sono stati riportati problemi di impatto ambientale.
Il termine sostenibilità oggi viene articolato in tre concetti complementari tra loro: sostenibilità ambientale, economica e sociale. Purtroppo l’impossibilità di fare sperimentazione in Italia dal 2000 in avanti, salvo un’estemporanea parentesi nel 2005, ci ha privato di molti dati utili per fare una valutazione completa nel nostro territorio. Tuttavia i dati raccolti in sperimentazioni svolte dall’Università Cattolica di Piacenza e dal CRA di Bergamo negli anni ’97, 98 e 99 e dall’Università di Milano nel 2005 confrontati con i dati provenienti dall’estero e con i dati provenienti dal controllo chimico della piralide ci consentono di fare alcune considerazioni sulla quella che potrebbe essere la sostenibilità ambientale economica e sociale di questo “ vecchio OGM transgenico”. Sappiamo infatti che gli attacchi della piralide sul mais coltivato in pianura padana causano perdite medie variabili da una a tre tonnellate per ettaro, sappiamo che causano ingenti aumenti di micotossine, sostanze tossiche prodotte da muffe, sappiamo che nel Mid West Americano e nella valle dell’Ebro in Spagna, quando almeno metà del mais seminato è resistente alla piralide la popolazione di piralide cala a tal punto da causare pochi danni anche al mais non resistente.
Possiamo quindi stimare che per produrre i 10 milioni di tonnellate che l’Italia produceva all’inizio degli anni duemila si sarebbero potuti risparmiare ogni anno 500 milioni di metri cubi d’acqua, 90.000 TEP di energia 450 tonnellate di agrofarmaci e 80.000 tonnellate di concimi. Oppure a parità di superficie coltivata produrre oltre un milione in più di tonnellate sottraendo almeno 2,6 milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera e lasciando 200 milioni di euro nelle tasche dei maiscoltori per le maggiori produzioni di mais più apprezzato dal mercato perché meno contaminato da micotossine. Una cifra simile di maggior guadagno è stata stimata anche per le aziende zootecniche per la minore presenza di micotossine nei mangimi. 
Dopo 13 anni di divieti nazionali abbiamo quasi dimezzato la produzione di mais e quest’anno importeremo quasi 5 milioni di tonnellate di mais per un valore di oltre 800 milioni di euro. Nel chimerico tentativo di evitare l’omologazione dell’agroalimentare italiano vietiamo la coltivazione di questo mais in Italia ricorrendo sempre più all’importazione di materie prime dall’estero, in buona parte OGM ma indispensabili per produrre i nostri prodotti tipici. Cosa a lei ben nota essendosi opposto alla proposta della Commissione Europea di lasciare agli stati membri libertà di vietare le importazioni oltre che la coltivazione di OGM.
A me pare dunque che il mais resistente alla piralide sia più sostenibile sia da un punto di vista ambientale che economico che sociale. Forse è meno sostenibile nei confronti dell’opinione pubblica che si dichiara contraria agli OGM avendo ricevuto per lo più informazioni negative al loro riguardo. Tuttavia l’opinione pubblica non si è mai dichiarata contraria alla ricerca e alla sperimentazione, che permetterebbe la raccolta di dati su cui fare valutazioni puntuali e costruire un’informazione basata sui fatti e non sulle speculazioni. 

Eraclea, 28/02/16
Marco Aurelio Pasti
Presidente AMI