Lo spessore della storia. I Georgofili e la conoscenza del mondo.

di Lucia Bigliazzi, Luciana Bigliazzi
  • 19 June 2019
Ildebrando Imberciadori invitava i giovani a recarsi negli archivi e sfogliare documenti e studiarli, invitava ad avvicinarvisi con l’occhio della mente e con quello del cuore, con acume, sensibilità, intelligenza poiché dietro ad ogni parola, ad ogni frase, ad un intero documento si apre un universo che non riguarda solo chi lo ha redatto, ma coinvolge un mondo molto più ampio e suggerisce una storia fatta di persone, di circostanze, di luoghi, in sostanza ci restituisce la Storia.
Ed è lì il luogo dove stanno le nostre radici. Imberciadori paragonava il sapere a un albero che fa vedere di sé tronco e chioma e questo potrebbe rappresentare l’oggi: ricco, variegato, molteplice e forse anche solido come può esserlo il tronco di un albero. Ma ci sono anche le profonde, diffuse radici che “agganciano” il suolo e sono esse che rendono l’albero variegato e molteplice nei suoi rami e nelle sue foglie e lo rendono ancor oggi vivo.
Ecco, affondare gli occhi e la mente nelle nostre radici è come affondare le mani nella terra e sentirne scorrere la vita che lega il piccolo seme di ieri all’albero di oggi.
Sì, la storia ha spessore.
Lo scriviamo convinte nuovamente, dopo aver affrontato in Accademia un'altra indagine volta a sviluppare una riflessione sui Georgofili e la conoscenza del mondo. E’ il titolo e il programma di una mostra che è aperta fino al 22 luglio nella sede accademica e che si pone come momento preliminare di un più ampio e dettagliato approfondimento, cui sarà dato sviluppo nel prossimo futuro.
Venire a contatto con il mondo. Oggi sembra quasi che ne siamo spaventati, pensiamo più ai problemi che questo comporta che non alla curiosità e all’arricchimento che potrebbero derivarne. Non era così per gli uomini del secolo dei Lumi, ed ecco perché questo nostro lavoro è risultato affascinante: fra Sette e Ottocento (termini entro i quali si colloca questo nostro primo segmento) il mondo incuriosiva per quello che avrebbe potuto apportare in termini di utilità e di progresso alla Toscana granducale e non solo.
Coloro che viaggiavano per imprese scientifiche o per cariche di rappresentanza che li conducevano anche molto lontano dal proprio paese d’origine, intendevano fare cosa utile descrivendo luoghi ed usanze lontane, descrivendo colture e pratiche che avrebbero potuto ben adattarsi ai luoghi da cui provenivano.
E’ in questo senso che vanno letti gli scritti di Giovanni Filippo Mariti da Cipro, tesi a reintrodurre in Toscana la coltivazione della robbia, materia tintoria per eccellenza o quelli sui vini di Cipro, opera stesa con l’intenzione che la sua terra d’origine importasse i magliuoli per avviarne la coltivazione. Oppure quelli di Gråberg di Hemsö nativo della lontana Svezia, fiorentino d’adozione, che diffuse fra i Georgofili tante notizie relative al suo paese natale, così come ad altro: Il Marocco, terra dove visse per anni per svolgervi un compito di rappresentanza.
Come non ricordare inoltre le imprese scientifiche di Giuseppe Raddi e Giovanni Battista Castellani, uno in Brasile e poi in Egitto, l’altro in Cina. L’uno e l’altro che riportarono in patria piante, semi, disegni, descrizioni degli usi e costumi delle popolazioni incontrate.
E’ un mondo quello che questi testi offrono: dalla storia all’economia, alla toponomastica, alla descrizione del territorio, all’archeologia. Ed anche all’antropologia: scorrono in questi resoconti di viaggio immagini, volti, figure, usi e costumi che se non fossero stati fermati con la scrittura e talvolta con il disegno, sarebbero andati perduti per sempre. Anatolio Demidoff con il suo Viaggio nella Russia meridionale e nella Crimea per l’Ungheria, la Moldavia e la Valachia fatto nel 1837 ne è un esempio eclatante.
E poi ancora un altro aspetto: Firenze “ricettacolo” fertile, vivace, dinamico di notizie.
Si aprono qui le pagine del Magazzino Toscano e Nuovo Magazzino Toscano, il periodico che Saverio Manetti fondò per accogliere come un grande “fruttuoso deposito” tutto ciò che descriveva realtà anche lontane, e che oggi costituisce fonte primaria di notizie. Come non ricordare quella relativa alla pesca delle balene nei gelidi mari del nord, o quella sulla peste a Costantinopoli e ad Algeri, o quella sul tef di cui si decantava la possibilità di trarne pane in un periodo (metà Settecento) in cui le carestie avevano falcidiato buona parte della popolazione. E ancora: sull’Albizia Julibrissin, una pianta di recente importazione dal vicino Oriente che per la prima volta, in ambito georgofilo, veniva descritta e classificata, sulla Rosa nivale di Siberia, sull’Ursus maritimus la cui prima notizia per entrambi risaliva solo a pochi anni prima.
Un mondo che affascina e che richiama imprescindibilmente ulteriori approfondimenti poiché le fonti di cui disponiamo aprono universi vastissimi e sono inoltre, ricordiamo, gli unici strumenti per penetrare nello spessore della storia.


Immagine: Giovanni Battista Castellani Tav III