Inaugurato il 260° anno accademico dei Georgofili

di Giulia Bartalozzi
  • 17 April 2013
Si è inaugurato ieri 16 aprile 2013 a Firenze, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, il 260° Anno Accademico dei Georgofili. La cerimonia ha avuto come tema portante quello di evidenziare la continuità delle disattenzioni ormai da tempo rivolte all'agricoltura, a tutti i livelli.

La relazione annuale del Presidente ha offerto una sintesi delle valutazioni emerse dal lavoro dei Georgofili, che documentano come l'agricoltura sia sottovalutata, trascurata e penalizzata, non solo per effetto della attuale grande crisi, ma già a partire dal secolo scorso. Il settore ha ormai urgente bisogno di essere riconsiderato e di un "Patto nazionale di emergenza", per non scomparire. Ha detto Scaramuzzi: “Nessun Paese può  oggi mirare ad un proprio sviluppo senza assicurare al popolo una dignitosa qualità della vita, a cominciare dalla disponibilità del pane quotidiano.  Papa Benedetto XVI, il primo gennaio di questo anno (in occasione della 46° Giornata Mondiale della Pace), ha giudicato “la crisi alimentare ben più grave di quella finanziaria”. Ma la nostra attuale politica agricola (europea, nazionale e regionale) sembra non preoccuparsene, nonostante che la FAO abbia autorevolmente e ripetutamente evidenziato la necessità di raddoppiare l’attuale complessiva produzione mondiale di alimenti primari entro la metà di questo secolo.  La stessa Unione Europea (quindi anche il nostro Paese, che ne è fondatore e convinto fautore), trascura da molti anni la produttività agricola, senza preoccuparsi delle già previste carenze alimentari a livello globale.” 

La prolusione è stata svolta dall'Accademico prof. Luigi Costato (foto) sul tema "Agricoltura, Cenerentola europea", con una valutazione critica della politica comunitaria, nel quadro mondiale: “l’attuale politica comunitaria considera l’agricoltura come l’ultimo dei suoi problemi, dimenticando che essa è lo stesso fondamento della vita, dato che ci procura le energie necessarie per vivere, e che i cibi tendenzialmente stanno diventando, nel mondo globalizzato, più scarsi di quelli necessari; i rimedi che si stanno proponendo agli enormi problemi aperti non appaiono molto più che palliativi … Occorre tornare alla produzione di beni, ma ciò va fatto in modo sostenibile, poiché non si possono ripetere i comportamenti che si tenevano quando la terra era abitata da un miliardo di persone e l’uso di carburanti fossili era, apparentemente, privo di conseguenze. Per soddisfare la domanda crescente di cibi, poi, bisogna avere il coraggio di affrancarci da certi tabù, che esistono solo in Europa o, meglio, in alcune parti di questa; l’Italia, da questo punto di vista, è il paese del no: no TAV, no OGM, no centrali elettriche, e non solo quelle nucleari, perché possono essere tollerabili solo se lontane dal “mio giardino”. Occorre, al contrario, che l’Europa ridiventi uno dei granai del mondo, per potersi permettere di avere una politica estera anche di sostegno ai paesi poveri; è di gran lunga soluzione migliore esportare cultura d’impresa e cibo che inviare soldati per placare rivolte e rivoluzioni che riprendono immediatamente dopo la partenza dei nostri militari. Bisogna, pertanto, che l’agricoltura cessi di essere la Cenerentola delle politiche europee per riprendere il ruolo fondamentale che le spetta se non altro per il fatto di consentirci di sopravvivere e di praticare una politica estera di sostegno allo sviluppo sostenibile dei paesi poveri”.