Pubblicato il genoma del frumento duro

  • 10 April 2019
Un consorzio internazionale ha pubblicato pochi giorni fa sulla rivista scientifica Nature Genetics la sequenza completa dei 14 cromosomi della varietà di frumento duro ‘Svevo’.
Il genoma studiato contiene 66.000 geni e la sua analisi ha consentito di identificare decine di migliaia di marcatori molecolari che potranno essere utilizzati per la selezione di varietà migliorate. Un lavoro fondamentale, che costituirà un riferimento per tutta la futura attività di miglioramento genetico e per l’identificazione e la tutela delle diverse tipologie di frumento attraverso tecniche di tracciabilità molecolare.
Il frumento duro, la materia prima della pasta, icona del ‘Made in Italy’ alimentare, è stato selezionato dall’uomo a partire dal farro alcune migliaia di anni fa in Mesopotamia, ma si è diffuso in Italia alla fine del dell’impero romano ed oggi viene coltivato in tutti i continenti. Nel bacino del Mediterraneo è la principale fonte di reddito per molti piccoli agricoltori nelle aree marginali dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, ma deve fare i conti con i preoccupanti cambiamenti climatici in atto e con una forte pressione demografica in grado di provocare tensioni sociali e flussi migratori. Solo una efficace azione di miglioramento genetico potrà consentire di selezionare varietà più produttive ed ecosostenibili in grado di garantire un reddito adeguato in regioni così a rischio.
Nel corso del lavoro, le conoscenze sul genoma sono state utilizzate per comprendere il processo evolutivo che ha portato dal farro selvatico (il progenitore del farro coltivato) al moderno frumento duro e per isolare un nuovo gene capace di limitare l’accumulo di cadmio nei semi, un chiaro esempio di come lo studio dei genomi consente la scoperta di fattori che aumentano ulteriormente la salubrità e la qualità del frumento duro e della pasta.
Lo studio è firmato da oltre 60 autori di 7 diversi paesi coordinati da Luigi Cattivelli del CREA insieme ad un team internazionale costituito da Curtis Pozniak dell’Università di Saskatchewan (Canada), Aldo Ceriotti e Luciano Milanesi del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), Roberto Tuberosa dell’Università di Bologna e Klaus Mayer dell’HelmholtzZentrum München (Germania). Inoltre, tra le altre istituzioni partecipanti vi è un ulteriore contributo italiano rappresentato dall’Università di Bari.
“Il rilascio della sequenza del genoma apre prospettive totalmente nuove per la filiera del frumento duro”, afferma Luigi Cattivelli, direttore del CREA Genomica e Bioinformatica, “consente di identificare geni di grande rilevanza pratica come quelli responsabili della resistenza alle malattie o dell’adattamento alle nuove condizioni climatiche e fornisce il background necessario per una tracciabilità molecolare avanzata di tutte le tipologie di frumento duro e farro”.
“Con la sequenza del genoma abbiamo il panorama completo dei geni che codificano per le proteine del glutine in una importante varietà di frumento duro. Queste informazioni saranno utili per comprendere i fattori che determinano la qualità tecnologica e nutrizionale delle semole”, sottolinea Aldo Ceriotti.
“La disponibilità della sequenza genomica facilita l’identificazione dei geni che regolano la risposta adattativa della pianta alla siccità e la capacità di assorbire acqua e fertilizzanti”, precisa Roberto Tuberosa, “consentendo quindi l’utilizzazione della selezione assistita con marcatori per costituire in tempi brevi nuove cultivar più resilienti alle avversità climatiche e più ecocompatibili”.
Il lavoro ha beneficiato di diversi finanziamenti, tra cui un importante contributo del progetto Bandiera MIUR InterOmics, coordinato da Luciano Milanesi. Tutti i risultati delle annotazioni del genoma sono consultabili presso il sito http://www.interomics.eu/durum-wheat-genome e nella banca dati scientifica GrainGenes. Il lavoro pubblicato in “Nature Genetics” dal titolo "Durum wheat genome highlights past domestication signatures and future improvement targets” è disponibile a questo link: http://dx.doi.org/10.1038/s41588-019-0381-3
 

Comunicato stampa CNR, 9/4/2019