Testimonianze dell’agricoltura romana del I secolo: i materiali carbonizzati dall’eruzione di Pompei

di Massimo Ricciardi
  • 26 November 2014
Durante gli scavi delle città sepolte dall’eruzione vesuviana del 79 d. C., nel sito identificato come l’antica Oplonti, è stata dissepolta una considerevole quantità di resti carbonizzati di piante in eccellente stato di conservazione. È  quindi stato possibile, per la prima volta analizzare un consistente campione di piante non coltivate che crescevano nell’ambiente in epoca romana.
Finora infatti, oltre alla identificazione di poche specie utili e dell’identificazione di piante rappresentate in dipinti e sculture, nulla si sapeva delle piante note ai Romani. Si può comunque ritenere che essi ne conoscessero un numero oscillante tra le 700 e le 1000 di entità vegetali assimilabili a quelle che sono oggi sono definite specie. È però evidente come essi si rendessero perfettamente conto che il numero di piante che li circondavano era di gran lunga superiore.
Il materiale è stato ritrovato nella cosiddetta Villa B di Oplonti nota anche come Villa di Lucio Crassio Terzo. I resti vegetali erano accumulati al piano terra di due stanze di questo vasto complesso a due piani dove era accumulato in diversi strati  alternati a livelli di lapilli e ceneri.
È probabile che le piante venissero somministrate come foraggio agli animali aggiogati ai carri durante le operazioni di carico e scarico delle merci. Nella villa infatti, venivano esercitate attività commerciali come attesterebbero numerose anfore vinarie ritrovate in altri ambienti.
Di questi materiali si è tentata l’identificazioni delle entità in esso individuabili. I riconoscimenti, a volte abbastanza agevoli, non di rado si sono rivelati piuttosto ardui e talora sono rimasti inevitabilmente dubbi a causa della frammentarietà e della incompletezza dei resti. Per questi motivi in diverse occasioni non è stato possibile determinare neanche la famiglia.
In tutto sono stato identificate 128 entità rappresentanti 79 generi e 31 famiglie. Di queste 128, per 107 è stata identificata la specie mentre per 19 è stato possibile identificare solo il genere e per 2 solo la famiglia.
Le famiglie più rappresentate sono le Fabaceae (38 entità) e le Graminacee 22 (entità) seguite da Asteracee e Cariofillaceae con 11 entità. I generi più rappresentati Trifolium (foto), Medicago e Vicia.
Dalle forti affinità emerse dal confronto con la flora attuale di un vigneto nelle campagne circostanti sembra quasi certo che il fieno sia stato raccolto nell’area vesuviana.
Queste similitudini consentono inoltre di ritenere che, nel primo secolo, almeno nelle aree coltivate sul Vesuvio, fosse presente una flora spontanea non molto dissimile da quella che oggi caratterizza gli stessi tipi di habitat. L’analisi della composizione del fieno di Oplonti e il suo paragone con la flora attuale consente infine di suggerire l’ipotesi dell’assenza di variazioni climatiche veramente significative in questa regione nel corso degli ultimi 2.000 anni.


L’articolo è tratto dalla relazione svolta il 9 ottobre 2014 nel Convegno “Verso Pompei: l’agricoltura dell’epoca nella storia e nelle immagini”, organizzato dalla Sezione Sud-Ovest dell’Accademia dei Georgofili insieme al Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli.