Le Scuole di Reciproco Insegnamento a Firenze, due secoli fa

di Lucia Bigliazzi, Luciana Bigliazzi
  • 07 November 2018
Nell’Adunanza solenne del 1 ottobre 1818 il Segretario delle corrispondenze segnalava fra le opere a stampa ricevute dall’Accademia dei Georgofili “Quattro memorie sull’Istruzione dei Signori Ridolfi, Serristori, Tartini, e Nesti”.
Le quattro opere, tutte sul metodo del Reciproco Insegnamento messo in atto con successo in Inghilterra e in alcune delle sue colonie grazie a Andrew Bell e Joseph Lancaster, uscirono a stampa quello stesso 1818 riunite in unico volume per i tipi di Manfredini a Pistoia (Della necessità d’introdurre nelle scuole primarie toscane il metodo di Bell e Lancaster. Memorie dei signori F. Nesti, L. Serristori, F. Tartini-Salvatici, e C. Ridolfi).
In seno accademico tuttavia fin dal febbraio Filippo Nesti aveva presentato la sua Memoria in forma manoscritta e il 9 agosto fu la volta di Cosimo Ridolfi, Ferdinando Tartini Salvatici e Luigi Serristori che con i loro scritti perorarono l’istituzione in Toscana di analoghe scuole, dimostrando l’efficacia e l’utilità del metodo.
I Georgofili, che già avevano affidato ad una Commissione (formata da Alessandro Rivani, Francesco Inghirami e Attilio Zuccagni Orlandini) l’esame della Memoria di Nesti, accolsero con favore la proposta dei quattro illustri accademici e di lì a poco, con la protezione granducale, le scuole ebbero vita.
Il metodo contemplava che accanto alla figura del maestro vi fossero i “sottomaestri”, alunni cioè che avendo già compiuto tutto il percorso formativo, erano in grado di poter “a ricaduta” insegnare ai fanciulli più piccoli. Ciò richiama, in qualche modo, la “verticalità” –sebbene con movimento inverso- che il sistema scolastico odierno persegue con particolare cura ed attenzione allo scopo di accompagnare gli alunni al passaggio fra i diversi ordini e grado di scuola.
Nelle scuole di Reciproco Insegnamento si insegnava a “leggere, scrivere e far di conto” e il metodo basato sulla reciprocità dell’insegnamento consentiva con estrema agilità ed economia di rivolgersi in contemporanea ad un gran numero di fanciulli.
L’edizione dei lavori di Nesti, Ridolfi, Tartini e Serristori raggiunse una platea molto vasta e tale da fare dell’Accademia il punto di riferimento nei successivi decenni per tutti gli Stati italiani che vollero tentare l’esperienza di simili scuole; e con compiacimento Ridolfi annunciava nell’Adunanza del 7 febbraio 1819 che era uscita solo da pochi mesi a Milano una edizione in lingua francese dei saggi dei quattro Georgofili (Milano, Vincent Ferrario, 1818).
Nella medesima Adunanza, Ridolfi presentava l’opuscolo a stampa del suo Annunzio della fondazione di una scuola d’insegnamento reciproco. Utilità e piano della medesima (Firenze, per Niccolò Conti, 1819) il cui contenuto era stato da lui ampiamente sviluppato nel precedente consesso accademico del 3 gennaio.
In ambito georgofilo si era costituita fin dall’inizio del 1819 una “Società per la diffusione del metodo del Reciproco Insegnamento” e già contava, come risulta dall’Annunzio, ben 116 sottoscrittori per il mantenimento di 343 alunni, numero destinato ad aumentare considerevolmente negli anni successivi.
Il 1° maggio 1819 si apriva a Firenze la prima scuola che ebbe sede nel soppresso convento di S. Chiara, ma già dal marzo di quello stesso anno Ridolfi aveva accolto nella sua casa al n. 15 di via Maggio, cinquanta giovani “coi quali” provare “i nuovi metodi” e prepararne “l’applicazione su scala maggiore”.
Erano previste 7 classi per la lettura e la scrittura, l’aritmetica ne prevedeva invece 10; lettura e scrittura si sarebbero svolte al mattino dalle ore 9 alle 12; le lezioni di aritmetica avrebbero avuto luogo dopo  pranzo, in ore diverse “a seconda delle stagioni”.
Non era solo l’istruzione che stava a cuore ai fondatori delle scuole, era l’educazione l’obiettivo principale, senza questa a poco sarebbe valso istruire: “la corruzione non si può estirpare con la forza; ma solamente per mezzo dell’educazione combinata con l’istruzione” aveva sentenziato Serristori nella Memoria del 9 agosto.
L’emulazione fra i fanciulli valse più delle punizioni corporali (che furono del tutto abolite) e i premi riservati agli alunni più diligenti costituirono la base fondante del rapporto fra maestro, sottomaestri e allievi. Pane, qualche capo di vestiario furono i premi nei primi anni di vita delle scuole (e bene corrispondevano ai bisogni primari di quei giovani) per poi trasformarsi in piccole somme di denaro ed infine in medaglie di merito.
Le scuole che in poco volger di anni si diffusero non soltanto a Firenze, ma in tutta la Toscana (nelle campagne il più sovente affidate ai parroci) si dotarono di un maestro, per la cui ammissione furono i Georgofili stessi a ideare in forma di “quesito” la prova di concorso; e di un medico che periodicamente visitava gli alunni (e spesso anche le loro famiglie) per verificare il loro stato di salute.
Luigi Bracciolini, l’insegnante e solo pochi anni più tardi Antonio Lupinari, il medico, seguirono le scuole fin agli anni ’50 quando l’esperienza del Reciproco Insegnamento ebbe fine in Toscana.


NOTA: I documenti relativi alle scuole di Reciproco Insegnamento in Toscana furono conservate presso Cosimo Ridolfi e pervennero all’Accademia dei Georgofili nel dicembre 1897, come dono dei figli Luigi e Niccolò e del nipote Ridolfo


Sottomaestri ed alunni in classe


Sotto: Memoria di Luigi Serristori, c. 1 r (particolare)
    “L’assioma che l’ignoranza, e l’ozio generano tutti i vizi non è stato che troppo provato da’ secoli di abbrutimento e di barbarie.
Memoria sull’istruzione primaria.
Lo spirito del secolo si dichiara altamente contro la dottrina antisociale dell’ignoranza, e l’opinione pubblica, nuovo elemento nel corpo politico proclama necessità della propagazione dei Lumi in ogni ordine delle Nazioni. …”



Sotto: Memoria di Ferdinando Tartini Salvatici, c. 7r (particolare)
    “… Basti questo breve saggio a svegliare coloro che non ancora pienamente penetrati dal vero spirito, e propensione per il metodo del mutuo insegnamento non valutano quanto dovrebbesi le conseguenze e i resultati di una scoperta la più utile per l’umanità: gli esempi degli altri popoli, e i vantaggi dei quali ormai godono ci stimolino a fare altrettanto, e noi i primi, poiché ci spetta facciamo umilmente dei voti onde il Governo prenda le opportune misure per render comune, certo, e permanente ai fanciulli toscani un bene che può grandemente influire a promuovere la felicità del nostra Paese”.
Ferdinando Tartini Salvatici