La via italiana alla soia sostenibile

di Andrea Carrassi*
  • 21 April 2021

Soia sì, ma sostenibile: in Italia, già da anni, la filiera di questa proteoleaginosa, essenziale per il nostro agroalimentare, si è sviluppata con un approccio decisamente “green”, ben prima che si cominciasse a parlare di economia circolare e di impatto ambientale delle coltivazioni. L’intero settore dei semi oleosi ha intrapreso questa strada con grande convinzione ed in modo quasi pioneristico, tracciando così quella che, giustamente, viene definita “la via italiana alla soia sostenibile”.
La scelta si è basata su un dato, troppo spesso sottaciuto dai media e dagli addetti ai lavori: l’Italia è il maggior produttore europeo di soia, con oltre 1 milione di tonnellate di semi all’anno. Tuttavia il primato non la mette al riparo dal problema del deficit proteico, che consiste nell’insufficiente quantitativo di proteine rispetto al fabbisogno del settore agricolo, in particolare della zootecnia, e dell’industria alimentare. La stessa soia italiana riesce a coprire soltanto il 50% della domanda nazionale.
La questione coinvolge tutta l’Europa e, nonostante l’aumento delle superfici, è destinata ad aggravarsi con la crescita della popolazione mondiale, stimata in 8,5 miliardi per il 2030. Di semi di soia non si può fare a meno, poiché hanno un notevole contenuto proteico ed una quota importante di aminoacidi come la lisina. Per tali caratteristiche la farina di soia è considerata dagli addetti ai lavori il legume per eccellenza nell’alimentazione animale. In tal senso, il comparto dei mangimi ha aderito nel 2015 alle Linee guida della UE per garantire l’approvvigionamento sostenibile. Inoltre, i semi di soia sono protagonisti di una riscoperta nell’ambito dell’alimentazione salutistica.
In questo scenario il consumatore esige grande trasparenza e chiede maggiori informazioni sulle materie prime, la loro origine e lavorazione. Guarda con attenzione al regime dietetico e alla sostenibilità dei prodotti, perché il cibo è ormai diventato il “riflesso” della nostra etica personale. Due tendenze che riguardano tutto l’universo dell’agroalimentare ma che, nel settore dei semi oleosi, assumono particolare importanza.
La via italiana alla soia sostenibile, promossa dall’industria italiana, risponde a tutte queste necessità, articolandosi su alcuni capisaldi ben precisi: tracciabilità e sostenibilità dei prodotti, certificazione del seme no-OGM, rispetto dell’ambiente in tutte le fasi produttive, filiera integrata. Il modello è ritagliato su quello, più generale, dei semi oleosi, che seguono lo schema dell’economia circolare, dal campo fino al prodotto finito. Quindi, grande attenzione al consumo del suolo e all’impiego dell’acqua, sia nel segmento della produzione agricola sia nei processi industriali. Tutti gli attori della catena, ognuno per la sua parte, devono impegnarsi nella sostenibilità nel suo complesso, con il contributo essenziale dell’innovazione tecnologica. E’ grazie all’agricoltura 4.0, ad esempio, che è possibile monitorare le colture di soia riducendo impatto ambientale e sprechi di acqua.
Sarebbe del resto impensabile l’incremento delle colture e della produzione senza l’apporto del digitale e, al tempo stesso, della ricerca. La scienza può aiutarci moltissimo ad accrescere la produzione, in Italia ed in Europa. Ci pare opportuno guardare con favore alle biotecnologie, in particolare a quelle procedure innovative come l’editing genomico, che, senza ricorrere agli organismi geneticamente modificati, possono fornire risposte scientifiche alla carenza di materia prima.
E se l’Italia ha ancora molto da fare in tal senso, ancora di più bisogna lavorare in Europa. Vale la pena ricordare che il nostro Paese compare tra i 14 Paesi firmatari della dichiarazione “European Soy”, che propone la creazione di un bacino produttivo europeo, in grado di dare vita ad una “partnership proteica” tra Est e Ovest, con un’offerta di produzione locale, certificata e ogm-free. In pratica, per la soia e le leguminose prodotte nell’Unione Europea sarebbe previsto un sistema di etichettatura specifico, in modo da valorizzarne l’origine europea ed i connotati di sostenibilità, incluso l’OGM-free. Il tutto in un’ottica di filiera integrata, rilanciando la logistica, la trasformazione e la commercializzazione dei semi oleosi e delle leguminose “Made in Europe”.
Per ASSITOL, l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia, la scelta a favore della soia sostenibile rappresenta l’unica, vera risposta alle polemiche sulla deforestazione legata alla soia, da cui peraltro l’Italia è del tutto indenne e, soprattutto, al problema del deficit proteico.
L’idea di ricorrere ad esempio agli insetti, come ben argomentato dal prof. Mauro Antongiovanni in un suo articolo (http://www.georgofili.info/contenuti/risultato/15559) pubblicato dall’Accademia dei Georgofili, ci trova concordi. Tuttavia, a nostro avviso, non bastano le aperture ai “nuovi alimenti” per colmare la carenza di proteine a livello mondiale. Occorre invece agire su livelli diversi, coinvolgendo tutta la filiera e lavorando insieme per renderla più competitiva. Per ASSITOL, in questo dialogo dovrebbe trovare spazio l’interlocuzione con il mondo accademico, spesso trascurato nei dibattiti sullo sviluppo delle filiere, e che ci auguriamo di vedere meglio valorizzato in futuro.

*Direttore Generale di ASSITOL – Associazione Italiana dell’Industria Olearia