Estate 2012: non solo caldo e sete ...

di Giacomo Lorenzini
  • 03 October 2012
L’ondata di calore dell’estate 2012 è stata eccezionale, sia per intensità sia per durata ed estensione delle superfici coinvolte. Dalla metà di giugno sino a quasi la fine di agosto l’Europa meridionale è stata interessata da una serie ininterrotta di episodi estremi, che hanno visto la temperatura massima superare i 40 °C, con anomalie rispetto alle serie storiche superiori anche a 5 °C; pure le minime giornaliere si sono mantenute sistematicamente ben al di sopra della norma del periodo. Contestualmente, il campo pluviometrico è stato altrettanto eccezionale e, in gran parte delle regioni in oggetto, le precipitazioni sono state completamente assenti per lunghi mesi. Inevitabili le conseguenze negative per gli esseri viventi, a cominciare dalle piante coltivate e spontanee; anche gli animali in produzione zootecnica hanno risentito massicciamente della situazione. Le stime dei danni subiti dall’agricoltura sono impressionanti. Sono state le configurazioni bariche particolari che hanno portato a queste circostanze, che per molti aspetti hanno richiamato alla memoria la terribile estate 2003.

Ma se il caldo torrido e l’assenza di precipitazioni sono gli aspetti più facilmente percepibili del fenomeno, è necessario valutare pure che queste situazioni meteo-climatiche sono anche molto favorevoli alla formazione dello smog fotochimico e, in particolare, di ozono troposferico. E, infatti, come già verificatosi nel 2003, la presenza di questo inquinante nell’aria è stata rilevante, sia in aree urbane che in stazioni rurali o remote. La soglia di informazione alla popolazione è stata superata in diverse località, e quella di allarme è stata sfiorata ripetutamente. Nostre campagne di biomonitoraggio con piante indicatrici (Nicotiana tabacum cv. Bel-W3) hanno evidenziato come nel periodo in oggetto la risposta sia stata particolarmente elevata.
Ad esempio, nel periodo compreso tra le settimane 29 e 30 (fine luglio-inizio agosto) del 2012, l’indice di danno fogliare medio in 11 stazioni dell’alto Lazio è stato pari al 23,3% di superficie fogliare lesionata, a fronte di una media del 13,1% (range 11,4-14,6) dei cinque anni precedenti (v. FOTO).

Quindi le nostre piante (ma non solo esse, anche gli esseri umani e soprattutto i loro apparati respiratori) vengono a trovarsi esposte a una moltitudine di stress ambientali che agiscono simultaneamente. Se queste possono essere considerate le ‘prove generali’ del cambiamento climatico in atto, vi sono motivi di forte preoccupazione. Infatti, i futuri scenari climatici, con aumento delle temperature e riduzione della piovosità estiva (e, quindi, incremento di radiazione solare), possono compromettere le faticose iniziative messe in atto dai decisori politici per ridurre l’emissione di inquinanti precursori dell’ozono: la nostra collettività dovrà prepararsi ad affrontare situazioni critiche di inquinamento dell’aria sempre più pericolose. E pensare che già oggi oltre il 95% della popolazione urbana europea è esposta a livelli di ozono superiori alle linee guida della World Health Organization e il 69% delle superfici agricole del nostro continente è interessato da concentrazioni più elevate rispetto ai valori-obiettivo fissati dall’Unione Europea per la protezione della vegetazione.


FOTO: Foglia di tabacco Bel-W3 dopo una settimana di esposizione all’aria ambiente: sono ben visibili le lesioni necrotiche indotte dall’ozono, inquinante al quale la pianta è ipersensibile.