Danno ossidativo nelle piante

di Cristina Nali
  • 23 May 2012
Lo stress ossidativo, definito come uno shift nell’equilibrio tra reazioni pro- e antiossidative verso le prime, è un denominatore comune dell’azione di vari agenti nocivi sulle piante (ma, più in generale, su tutti gli organismi). L’attenzione è stata spesso focalizzata sugli aspetti negativi della generazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), a causa della loro elevata tossicità nei confronti di tutte le classi di biomolecole. Così, il termine “stress ossidativo” è divenuto frequentemente sinonimo di “danno ossidativo”. A oggi, oltre alla loro pericolosità nel causare lesioni, è stata ben studiata anche la loro potenzialità come molecole-segnale, coinvolte nelle risposte di difesa.
È noto come la più significativa sorgente metabolica di ROS risieda nel processo fotosintetico. Tra le fonti esogene, l’ozono troposferico è una delle più rilevanti. Le piante, infatti, sono i recettori più sensibili all’azione di questo inquinante dell’aria e non è casuale il fatto che la prima percezione di una problematica ambientale relativa alla presenza di ossidanti atmosferici sia stata legata appunto alla individuazione di anomalie nella vegetazione. La penetrazione dell’O3 e la successiva generazione delle ROS hanno due effetti contrapposti: da una parte, sono responsabili del danno ossidativo e, dall’altra, agiscono come segnale di inizio della morte cellulare programmata (PCD, Programmed Cell Death) e da elicitori abiotici di meccanismi conosciuti come reazione di ipersensibilità (HR, Hypersensitive Response) e resistenza sistemica acquisita (SAR, Systemic Acquired Resistance). E’ dimostrato che le piante attivano il burst ossidativo in seguito all’azione non solo di questo contaminante, ma anche di altri fattori biotici e abiotici. La sua abilità nel “mimare” simultaneamente tutte le risposte indotte da stress è di aiuto per lo studio delle interazioni tra le vie di segnalazione che influenzano la PCD.
L’uso del segnale ossidativo per la produzione di metaboliti secondari (gli stessi derivanti dalle reazioni di difesa suddette) appare di valore commerciale per i loro svariati utilizzi (come tinture naturali, aromi, prodotti farmaceutici, ecc.). A titolo di esempio, è possibile citare l’arricchimento in resveratrolo del succo d’uva in seguito all’esposizione di grappoli a raggi UV-C e l’impiego di chitosano, che attiva la biosintesi di artemisina in Artemisia annua. Studi recenti condotti presso l’Università di Pisa hanno evidenziato un consistente aumento nella produzione di acido rosmarinico e iperforina (cui vengono attribuite rilevanti proprietà farmacologiche), rispettivamente in piante di melissa e iperico fumigate con ozono in assenza di manifestazioni sintomatiche. Le applicazioni biotecnologiche di queste scoperte sono certamente interessanti.

FOTO: Sintomi indotti su foglie di frassino (Fraxinus excelsior) da esposizione all’ozono.